Brexit, ovvero il processo di uscita del Regno Unito dall’Unione europea


  1. Il quadro storico – politico

La cornice entro la quale si andava delineando per il Regno Unito la volontà di uscire dall’Unione europea (Ue), risponde a delle esigenze politiche ben radicate nella storia comunitaria di questo paese, che risalgono agli anni di governo di una donna il cui carattere straordinario è insito nell’ossimoro formato dal suo stesso nome: “Iron Lady”. Si presentava come una lady dal pugno di ferro, Margaret Tathcher, ovvero la prima donna della storia d’Inghilterra a ricoprire il ruolo di Primo Ministro.

Durante gli anni Ottanta, quelli corrispondenti al suo primo mandato, lo shock della crisi petrolifera dispiegava le sue irrimediabili conseguenze sulle economie dei Paesi del mondo, non risparmiando nemmeno l’Inghilterra. Il paese si ritrovava così a elargire ingenti contributi nei confronti dell’Europa tanto che, criticando l’esborso britannico che la donna dal pugno di ferro riteneva appunto eccessivo, divenne proverbiale la sua esternazione “I want my money back!”.

Se non altro diede subito una chiara idea della sua posizione verso l’Ue, così come le sue “crociate” antieuropeiste fecero la storia di quel periodo, lasciando, nel suo insieme, un’impronta di netta divisione tra il Regno Unito e l’Europa.
Si deve, comunque, un particolare ringraziamento al meticoloso lavoro dei media se l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea si è inserita nel linguaggio comune attraverso l’edulcorata espressioneBrexit”. E sebbene debba la sua origine alla sincrasi di due parole inglesi, Britain, “Gran Bretagna” ed Exit, “uscita”, con ciò mostrando una certa semplicità associativa, pur tuttavia è un fenomeno la cui complessità va ben oltre le mere unioni lessicali.

La proposta dell’uscita del paese dall’Unione è stata avanzata nel febbraio 2016, quando il leader del partito conservatore – nonché Primo Ministro del Regno Unito – David Cameron, nell’ottica di distendere quelli che erano dei rapporti tendenzialmente controversi con l’Europa fin dall’epoca tatcheriana, introdusse un nuovo accordo di negoziazione con Bruxelles tramite un referendum non vincolante rivolto ai cittadini inglesi sulla permanenza del Regno nell’Ue.

Il suo obiettivo era quello di mostrare una decisa concretezza agli occhi dei partner europei nell’opzione di uscita del Regno Unito dall’Unione, così da ritagliarsi anche un margine di manovra più ampio lungo il corso delle trattative.

Si aprirono a quel punto due fronti, che hanno dato avvio al referendum: da un lato coloro che aderivano alla coalizione del “Remain”, formato in maggior misura da conservatori, liberaldemocratici e da alcuni laburisti più convinti; dall’altro, il fronte del “Leave” era capeggiato da Boris Johnson, appartenente allo stesso partito conservatore e da Nigel Farage, alla testa del Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (UKIP).

Tuttavia, la campagna elettorale è stata segnata da un grave avvenimento, avvenuto appena la settimana prima del voto, cioè l’omicidio della deputata laburista Jo Cox, fieramente schierata per il Remain. Tale evento ha necessariamente rallentato le attività politiche da parte di entrambi gli schieramenti, che hanno così mostrato un grande segno di rispetto per la cittadina inglese.

Il referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea si è svolto il 23 giugno 2016, segnando dei risultati del tutto inattesi, specie a Gibilterra dove i favorevoli al partito del Leave si sono assestati al 51,9%, contro il 48,1% dei voti contrari, che contavano sulla permanenza. Lo spostamento dell’asse delle preferenze verso il “no” imprimeva un importante riflesso anche in Scozia, dove già due anni prima, in seno allo stesso referendum, i cittadini scozzesi si preparavano in vista dell’incognita di un’improvvisa uscita dall’Unione a seguito della scissione.

Per meglio provare a comprendere quello che oggi è diventato un fenomeno decisamente più ampio, che si è realizzato nel pieno flusso di taluni forti cambiamenti internazionali – partendo dalla Brexit per arrivare alla nascita del nuovo governo nazionale italiano, prima gialloverde, poi giallorosso, passando per il Golpe che ha posto fine alla dittatura di Pinochet in Cile, per lasciare il mondo intero in mezzo al guado, per non dire paralizzato, a seguito del lancio dei missili diplomatici del leader nordcoreano King Jong Un, sperando in una risposta non aggressiva del Presidente americano Donald Trump – occorre fare alcune precisazioni, andando ad analizzare, prima fra tutte, cosa s’intende con l’espressione “referendum consultivo”.

2.Perché “consultivo” e non un semplice referendum?

 Il referendum, dal gerundivo del verbo latino re-fero, “riporto”, è un istituto giuridico con cui si chiede all’elettorato di esprimersi con un voto diretto su una proposta, potendo scegliere fra più di un’opzione (es: sì/no, repubblica/monarchia, rimanere/lasciare).

I referendum consultivi o di indirizzo, nella fattispecie, hanno come scopo precipuo l’adozione del parere popolare su una determinata questione politica (che vale in ogni caso come mera richiesta di parere legalmente non vincolante in merito alla successiva decisione). Tale istituto, però, non possiede una copertura costituzionale, cioè non è regolato dalla nostra Carta Fondamentale. Ciò implica che, affinché esso sia integrato, si renda necessaria una legge d’integrazione costituzionale.

Nel caso del Regno Unito, il referendum, per come è stato concepito e utilizzato nella storia costituzionale britannica, pone molti dubbi sulla sua effettiva democraticità.

Basti pensare alla mancanza di una Costituzione scritta e di una disciplina costituzionale in materia che chiarisca quando un referendum consultivo va indetto, o alla poca chiarezza con cui le condizioni necessarie per l’indizione vengono esplicitate. Ciò va considerato unitamente al fatto che i cittadini non hanno il potere di farne richiesta, nonché all’assenza di previsioni relative a quorum e maggioranze qualificate. Sono tutti elementi, questi, che hanno contribuito a rendere il referendum britannico soggetto a manipolazioni da parte del Governo in carica, che vi ha fatto spesso ricorso per risolvere situazioni di stallo politico piuttosto che per garantire un effettivo coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni pubbliche.

E’ poi pacifico evincere la complessità di tale fenomeno dalla partecipazione particolarmente attiva degli organi giurisdizionali, fra i quali un ruolo fondamentale l’ha rivestito la Corte Suprema.

Se è il Tribunale di ultima istanza, cioè quello che riveste il più alto grado di giudizio del paese, ad essere deputato a statuire sulle questioni che riguardano la popolazione di Inghilterra e Galles, Scozia e Irlanda del Nord, sia sulle materie civili che su quelle di ordine penale, il giudizio di legittimità sulla procedura per la Brexit sarebbe passato anche da lì.

Occorre dunque fare alcune premesse. Secondo la Corte, il referendum ha una forza che deriva dall’atto istitutivo, e che potrà essere, in altri termini, consultivo o vincolante.

Poiché il Referendum Act 2015 ha introdotto la possibilità di indire un referendum consultivo, esso non vincola in alcun modo il Parlamento. Ma vi è un ulteriore argomento che fa ritenere ai giudici che la consultazione popolare necessiti di un’attuazione legislativa e che non sia sufficiente una semplice deliberazione parlamentare: essendosi espresso esclusivamente in via letterale sulla permanenza o sull’uscita dall’Unione europea, scegliendo tra un “Leave” ed un “Remain”, l’elettorato britannico non ha potuto manifestare un indirizzo sulle conseguenze dell’uscita dalla Ue. Questa decisione dev’essere perciò necessariamente affidata a una legge del Parlamento.

La Corte non accoglie quindi la teoria di quella dottrina minoritaria che anche nel Regno Unito sostiene la rilevanza dei referendum su materie di rango costituzionale ed afferma per essi la piena legittimità democratica del processo decisionale referendario (così si esprime autorevole dottrina Tierney).

A sostegno della decisione, la Corte richiama infatti le conclusioni del documento della House of Lords Select Committee on the Constitution (Referendums in the United kingdom) e la risposta del Governo (Committee’s Fourth Report of Session 2010-11).

Il sistema costituzionale britannico sembrava dunque, almeno inizialmente, aver assorbito gli effetti del referendum, riconoscendo al principio della sovranità parlamentare una netta primazia sulla sovranità popolare e respingendo la portata anti-egemonica del voto nei confronti dell’esecutivo.

Lo strumento legislativo aveva prodotto un effetto anti-egemonico cui ha rimediato il Governo riprendendo rapidamente il controllo dell’agenda politica. La sentenza della Corte respingeva infatti la pretesa dell’esecutivo di fondare la propria azione sull’appello diretto al popolo. Per difendere la sovranità parlamentare, la Corte ha delimitato gli effetti del referendum, confinando in un ambito esclusivamente politico il significato del voto.

Vi è poi un’altra questione di cui si è occupata la Corte, cioè quella relativa all’applicazione della procedura di cui all’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea (TUE).

Ebbene la Corte Suprema, con la sentenza del 24 gennaio 2017 e con una maggioranza di otto giudici su undici – si ricorda che Brexit è un caso eccezionale e che i giudici che siedono in seno alla Corte sono dodici, onde la sufficienza della maggioranza semplice dei voti per il raggiungimento del verdetto finale – ha confermato la decisione dell’Alta Corte del 3 dicembre 2016, che aveva negato al Governo il potere di esercitare il recesso dall’Ue ai sensi dell’art. 50 TUE senza l’autorizzazione del Parlamento.

La motivazione della decisione si basa su un duplice argomento: il Governo non può decidere da solo un cambiamento del sistema costituzionale delle fonti, di cui fanno parte a pieno titolo quelle europee, ne può modificare i diritti dei cittadini britannici che derivano dalle fonti europee.

3.L’articolo 50 del TUE e le fasi di negoziazione

Come avvenne in occasione del referendum del 1989 che rese possibile la trasformazione della Comunità economica europea (CEE) in Unione europea per mezzo della legge costituzionale 3 aprile 1989, n.2, anche in questo caso la procedura è identica: per l’espressione effettiva della volontà politica del Regno Unito in merito alla sua uscita dall’Unione, fondamentale è stata l’attivazione di una clausola contenuta nel TUE, contenuta nel prezioso articolo 50, che al primo comma recita: “Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione”. 
Essa definisce la procedura di recesso volontario e unilaterale di uno Stato membro, in base alla quale l’UE rispetta tale volontà sovrana e conclude un accordo con lo Stato membro che decide di recedere.

Tale attivazione, è tutto fuorché un automatismo: l’Ue ha perseguito un approccio graduale dando la priorità ad un recesso ordinato del Regno Unito dall’Unione. E’ stato anche stabilito un termine di due anni per la negoziazione, a meno che il Consiglio europeo, per motivi particolari ed in accordo con lo Stato membro, non avesse deciso all’unanimità di prolungare i termini, cosa che, di fatto, si è verificata.
La prima fase dei negoziati ha visto il suo avvio il 19 giugno 2017, dopo le elezioni generali del Regno Unito.

Dopo sei cicli di negoziati, e precisamente l’8 dicembre 2017, i negoziatori dell’Ue e del Regno Unito avevano già raggiunto un’elevata vetta di progresso all’esito di questa prima fase. La relazione congiunta, appoggiata dal primo ministro del Regno Unito, Theresa May, e dal Presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, conteneva un fermo impegno a:

Tutelare i diritti dei cittadini dell’Ue che si trovano nel Regno Unito e dei cittadini del Regno Unito che si trovano nell’Ue;

Regolare tutti gli obblighi di natura finanziaria in essere assunti durante il periodo di adesione del Regno Unito;

Affrontare le circostanze uniche dell’Irlanda e dell’Irlanda del Nord.


Il 29 gennaio 2018 si è aperta la seconda fase dei negoziati sulle modalità transitorie possibili e sulle relazioni future.

Il 19 marzo 2018, i parter negoziatori hanno segnato un’altra fase decisiva raggiungendo un accordo sulla bozza dell’accordo di recesso che traduceva i progressi compiuti nel corso della prima fase dei negoziati. 
Il Consiglio europeo del 29 giugno e quello, poi, del 17 ottobre 2018 ha esaminato lo stato dei negoziati e ha confermato l’unità dei 27 Stati membri dell’Ue e la struttura unica di negoziato in atto.

Dopo 17 mesi di negoziati, il 25 novembre 2018 il Consiglio europeo ha segnato un passo decisivo nei negoziati per la Brexit sottoscrivendo l’accordo di recesso sui termini del recesso ordinato del Regno Unito dall’Ue e approvando la dichiarazione politica che definisce il quadro delle relazioni future tra quest’ultima e il Regno Unito.

Tuttavia, il governo del Regno Unito non ha ottenuto dal suo Parlamento il sostegno necessario per procedere alla firma e alla ratifica dell’accordo di recesso e ha chiesto al Consiglio europeo di prorogare il periodo previsto dall’articolo 50, al paragrafo 3, del TUE. Il Consiglio europeo ha inizialmente concesso una proroga fino al 12 aprile 2019 cui ha fatto seguito un’ulteriore proroga fino al 31 ottobre 2019.

A seguito delle dimissioni del Premier britannico Theresa May, il nuovo governo del Regno Unito ha chiesto la sostituzione del protocollo su Irlanda/Irlanda del Nord accluso all’accordo di recesso approvato il 25 novembre 2018 dal Consiglio europeo.

Il governo del Regno Unito ha inoltre chiesto di modificare la Dichiarazione politica approvata il 25 novembre 2018 al fine di rispecchiare il diverso livello di ambizione del governo del Regno Unito nelle future relazioni con l’Unione.

Le discussioni tra i negoziatori dell’Unione e del Regno Unito sono riprese nel settembre 2019.

Il 17 ottobre 2019 hanno poi raggiunto un accordo su un testo riveduto del protocollo su Irlanda/Irlanda del Nord e su una dichiarazione politica riveduta. Alla stessa data il Consiglio europeo ha approvato l’accordo di recesso, un protocollo riveduto su Irlanda/Irlanda del Nord e su una dichiarazione politica riveduta sul quadro delle future relazioni tra l’Unione europea e il Regno Unito.

A seguito della richiesta del Regno Unito di un’ulteriore proroga, il 29 ottobre 2019 il Consiglio europeo, attraverso l’articolo 50, ha prorogato il termine previsto dall’articolo 50 al 31 gennaio 2020:

“Nel caso in cui le parti completino le rispettive procedure di ratifica e notifichino al depositario il completamento di tali procedure a novembre 2019, dicembre 2019 o gennaio 2020, l’accordo di recesso entrerà in vigore rispettivamente in data: 1o dicembre 2019; 1o gennaio 2020; o 1o febbraio 2020.”

 

4.L’accordo di recesso e la dichiarazione politica sul quadro delle relazioni future

Il 24 gennaio 2020 è la data ufficiale in cui è avvenuta la firma dell’accordo di recesso.

Il Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper), riunito nel formato Ue a 27, ha approvato i principi guida per la trasparenza nei negoziati sulle future relazioni, che agevoleranno un effettivo controllo pubblico nel corso dei negoziati. Inoltre, tutti i documenti negoziali che il negoziatore dell’Ue (la Commissione) condivide con gli Stati membri dell’Ue, il Consiglio, il Parlamento europeo, i parlamenti nazionali o il Regno Unito saranno resi accessibili al pubblico nei limiti del diritto dell’Ue.

L’accordo di recesso rispetta i principi fondamentali così come sanciti dall’articolo 50 del TUE e focalizza le proprie attenzioni su specifici dossier come quelli che riguardano i diritti dei cittadini, la liquidazione finanziaria, una profilassi al fine di evitare una frontiera fisica sull’isola d’Irlanda e un solido sistema di governance che preservi il ruolo della Corte di giustizia europea per l’interpretazione del diritto dell’Ue.

Il documento prevede poi una serie di altre questioni relative alla separazione al fine di garantire la certezza del diritto per le parti interessate. Prevede inoltre un periodo di transizione fino alla fine del 2020, che può essere prorogato una sola volta, per un massimo di uno o due anni. Durante tale periodo di transizione, l’Ue tratterà il Regno Unito come se fosse uno Stato membro a tutti gli effetti, fatta eccezione per la partecipazione alle istituzioni e al processo decisionale.

L’accordo di recesso prevede, inoltre, tre protocolli:

Un protocollo sull’Irlanda e l’Irlanda del Nord, con un dispositivo di protezione legalmente operativo per garantire che non vi siano frontiere fisiche tra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord;

Un protocollo sulle zone di sovranità a Cipro, che tuteli gli interessi dei ciprioti che ivi vivono e lavorano;

Un protocollo su Gibilterra, che preveda una stretta cooperazione tra Spagna e Regno Unito fondata sulla cooperazione amministrativa tra le autorità competenti in una serie di settori politici.

L’accordo di recesso è accompagnato da una Dichiarazione politica riveduta del Regno Unito che definisce il quadro delle relazioni future tra i due partners e che prevede un nuovo modello economico per il Regno Unito basato su un accordo di libero scambio (ALS) a “zero dazi, zero quote e zero dumping”. Essa chiarisce anche che solidi impegni presi in condizioni di parità dovrebbero garantire una concorrenza equa e aperta.

5.Il processo di ratifica e le successive fasi

Prima di poter entrare in vigore, l’accordo di recesso deve essere ratificato tanto dall’UE quanto dal Regno Unito, ognuno secondo le proprie disposizioni costituzionali.

Per l’UE, il Consiglio dell’Unione europea ha autorizzato la firma dell’accordo di recesso il 21 ottobre 2019 e lo ha inviato al Parlamento europeo per l’approvazione.

Il processo di ratifica del Regno Unito è stato sospeso a causa delle elezioni anticipate del 12 dicembre 2019.

Gli accordi che disciplinano le relazioni future con il Regno Unito saranno negoziati e conclusi conformemente all’articolo 218 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea), quando il Regno Unito non sarà più uno Stato membro. Entrambe le parti si sono impegnate a concludere tali accordi quanto prima dopo il recesso del Regno Unito dall’UE, al fine di garantirne l’entrata in vigore entro la fine del 2020.

6.Alcuni pronostici sugli effetti della Brexit

Dalla mezzanotte del 31 gennaio 2020 dunque, ora di Bruxelles, «Il Regno Unito non è più uno Stato membro dell’Ue e sarà considerato un Paese terzo». Così riferisce una nota ufficiale del Consiglio europeo, dichiarando che la Brexit è ormai storia.

Lunedì 1 febbraio 2020 la Commissione europea ha presentato la sua proposta per un mandato che sarà affidato nuovamente a Michel Barnier, capo negoziatore Ue per la gestione dell’uscita del Regno Unito.

Adesso, invece, occorrerà fare qualche pronostico sugli effetti che la linea dell’Ue potrebbe produrre sul paese dimissionario; non è esclusa una situazione da contraltare non indifferente, per cui più gli inglesi si allontaneranno dall’Europa, meno agevole sarà l’accesso al mercato unico.

Le trattative con la “nuova Europa”, ormai a ventisette membri, prenderanno il via a Marzo, dopo aver ricevuto lo sta bene di tutte le altre potenze. La deadline è prevista per il 25 febbraio.

Il tavolo tecnico che si andrà a formare, e che vedrà il Regno Unito da una parte e l’Ue dall’altra, si estrinsecherà in un round negoziale di una settimana ogni venti giorni, in modo che il primo possa mettersi al passo coi governi europei. Successivamente, verso giugno, l’Unione europea dovrà decidere a quali dossier attribuire la priorità, fermo restando che alcune cose inevitabilmente cambieranno. Se infatti per i diritti dei cittadini europei nel Regno Unito si è manifestato un fronte compatto, il versante finanziario, adesso, sembra meno favorito: l’Ue non sarà più disposta a sostenere il dossier pesca. Sembra facile dedurre che in ballo c’è, in primis, il fascicolo dei rapporti commerciali.
Boris Johnson punta a un trattato di libero scambio con i ventisette partners, che sia a “zero dazi zero quote e zero dumping” e, per quanto si possa bypassare su dei tempi tecnici evidentemente  stretti, dall’altro gli ostacoli di una manovra economica così onerosa sono tutti dietro l’angolo.

Già a dicembre scorso l’autore contemporaneo Denis MacShane, anche ex Ministro per l’Europa sotto Tony Blair, con un’espressione piuttosto colorita aveva anticipato che Londra sarebbe diventata “il cavallo di Troia di Trump”. Con una certa lungimiranza aveva previsto un ingresso nell’era della “Brexeternity”, pensando ad un periodo storico costellato da innumerevoli negoziati con la Ue circa le relazioni future ed immaginando un ampio ventaglio di accordi per i temi che susciteranno maggiori polemiche e divisioni.

Sul fronte eversivo si colloca anche la Scozia, che non ha mai nascosto la sua opposizione alla  manovra della Brexit, anzi; dallo scranno della First Minister l’ex colonia protestante tuona “Noi in Europa torneremo da indipendenti”, riaffermando tutta la propria voglia di fare.

Oggi, di lasciare l’Ue e di seguire l’avventura del premier conservatore Boris Johnson, la maggior parte degli scozzesi non ne vuole sapere. Lo hanno dichiarato alle urne poco più di un mese fa, quando hanno consegnato agli indipendentisti dello Scottish National Party (Snp) 47 dei 59 seggi scozzesi a Westminster, mentre i conservatori locali andavano in scout down. D’altronde, come sopra accennato, anche nel referendum indetto in Scozia nel 2016 due terzi degli abitanti avevano votato contro la Brexit.

Le perplessità che aleggiano circa il buon esito di questa manovra sono innumerevoli, ma al netto delle considerazioni basta chiedersi se avrà ragione MacShane, se sarà o meno una Brexiteternità di liti e rancori o se non sancirà il ritorno di un Regno Unito isolazionista molto caro all’ex Primo Ministro Margaret Thatcher.

Giulia Guastella

Vicepresidente di IMESI

 

Bibliografia
Luigi Daniele, Diritto dell’Unione europea. Sistema istituzionale. Ordinamento. Tutela giurisdizionale. Competenze, Giuffrè, 2018

 

Sitografia

Sito ufficiale dell’Unione europea: eur-lex.europa.eu

Il messaggero: ilmessaggero.it

Agenzia d’informazione: agensir.it

Sito ufficiale del Consiglio europeo e Consiglio dell’Unione europea: consilium.europa.eu

Euronews: euronews.com

Diritto Pubblico Comparato ed Europeo: dpce.it

 

 

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