Il genocidio demografico e culturale degli Uiguri in Cina


La Repubblica Popolare Cinese si definisce ufficialmente uno stato multietnico unitario e pertanto riconosce 56 gruppi etnici anche se, dopo la rivoluzione maoista, l’etnia Han si è imposta come etnia dominante all’interno del paese (essa costituisce il 92% della popolazione). Questa ricopre  tutti i ruoli apicali o di potere dell’amministrazione pubblica e, molto spesso, anche i ruoli di prestigio del sistema economico cinese mentre le altre 55 nazionalità si designano come minoranze.

Gli Uiguri sono una minoranza etnica turcofona di 16 milioni di persone, di cui 11 milioni vivono nella regione autonoma uigura dello XinJiang, situata ad ovest della Cina. Nonostante siano cittadini cinesi, gli Uiguri sono di fede islamica sunnita e non parlano solo il cinese, ma anche una lingua simile al turco.


  1. Lo scenario attuale

Dopo anni di tensioni con il governo cinese legate alle richieste di maggiore autonomia, finanche alla richiesta di indipendenza della regione abitata dal popolo uiguro, la situazione è precipitata con l’avvento al potere del Presidente Xi Jinping, nel marzo del 2013. Strumentalizzando le spinte secessioniste locali e l’attività terroristica messa in atto da alcuni piccoli gruppi jihadisti, le autorità di Pechino hanno lanciato una vasta operazione repressiva basata sull’associazione tra Islam e terrorismo, che ha investito l’intera popolazione musulmana locale.

Milioni di persone sono perseguitate e oggi la potenza militare e tecnologica dello Stato in cui vivono, la Cina, sembra essere utilizzata contro di loro in un’azione di progressivo annientamento etnico, politico e culturale. Le più autorevoli organizzazioni internazionali che si occupano di tutela dei diritti umani definiscono tale fenomeno come il  più grande internamento di massa dalla seconda guerra mondiale.[1]

Nei campi si entra in quanto si è sospettati di terrorismo, ma non si è sottoposti ad un processo, è tutto extragiudiziale.

  1. La posizione del Governo cinese sulla questione degli Uiguri

Gli attacchi alla minoranza musulmana vanno avanti da decenni anche se solo negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione della Comunità Internazionale su tale fenomeno. Il governo cinese ha negato sia il pugno duro contro gli Uiguri, sia l’esistenza di campi di prigionia nello XinJiang. In diverse occasioni anche in seno alle Nazioni Unite, la Cina ha definito inchieste e testimonianze come “fake news” davanti ai media internazionali fino ad ottobre 2018, quando ne ha ammesso l’esistenza, ma come centri di formazione professionale dove si accede spontaneamente e mostrando tramite la tv di Stato la condizione di benessere delle persone dei centri rieducativi.

In alcuni casi l’azione terroristica viene utilizzata per giustificare la detenzione di un milione di essi nei campi e per la trasformazione attraverso la rieducazione. In realtà, la maggior parte dei leader e delle organizzazioni uigure ha respinto il terrorismo con fermezza.

Le autorità cinesi considerano l’area dello XinJiang come fondamentale da un punto di vista economico e geopolitico in quanto, oltre ad essere una delle poche aree ricca di risorse energetiche  (petrolio e gas naturale)[2], è l’unico sito in cui vengono effettuati test nucleari. Inoltre, l’importanza della regione si lega  alla sua posizione geografica di sbocco verso il medio-oriente e l’Asia centrale. Per tali ragioni, si punta ad una forzata stabilità dell’area attraverso la  repressione dell’identità e dell’etnia uigura.

Si parla di “sinizzazione”[3] per definire il processo che avviene all’interno di questi centri di formazione professionale per indirizzare i bambini all’ortodossia culturale di Stato, facendo cambiare loro stile di vita, imponendo l’utilizzo esclusivo della lingua cinese, facendo loro dimenticare le proprie origini con un processo di de-islamizzazione della popolazione locale.

La tecnologia ha un ruolo dominante al giorno d’oggi perché il governo cinese sperimenta un sistema di sorveglianza di massa con l’installazione di migliaia di telecamere di sorveglianza ad ogni angolo delle strade e nei negozi, intercettazioni telefoniche, l’acquisizione di dati biometrici grazie a sistemi di riconoscimento facciale[4], di impronte digitali e al prelievo  di sangue.

Come ha rivelato Human Rights Watch, la polizia cinese disporrebbe di I JOP (Integrate Joint Operation Platform) che serve a classificare gli Uiguri in 30 tipologie identificando chi è andato alla Mecca senza autorizzazione, chi ha avuto più figli di quanto permesso, chi ha contatti con gli Uiguri all’estero, chi non socializza con i vicini ed entra spesso dalla porta sul retro. Questo sistema è in grado di fornire ogni dato sulla persona come l’altezza o il gruppo sanguigno, ma anche il titolo di studio, la targa dell’auto, la professione, fino all’atteggiamento tenuto durante i controlli della polizia e raccoglie dati anche dalle stazioni di servizio per registrare chi fa benzina e la frequenza con cui la fa,  perché sarebbero due indizi del fatto che sta costruendo un ordigno esplosivo. Basterebbe anche solo uno di questi indizi per finire nei campi, anche senza aver commesso un reato, perché potrebbe essere commesso in futuro.

Sterilizzazioni di massa, imposizione di metodi contraccettivi, aborti indotti e neonati uccisi, contribuiscono riduzione forzata delle nascite nella regione dello XinJiang; una pratica che secondo la Convenzione per la prevenzione e punizione del crimine di genocidio del 1948 costituisce “genocidio demografico”.

  1. Ma perché questo ci riguarda da vicino?

Negli ultimi due anni gli ambasciatori presso Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) di 22 paesi hanno notificato una lettera  per condannare il trattamento della minoranza uigura, esortando il governo cinese a chiudere i campi di rieducazione. Al contrario, una dichiarazione congiunta sarebbe stata firmata da 37 Stati che hanno espresso l’approvazione del “programma antiterrorismo” cinese nello Xinjiang.[5]

Nel dicembre 2020, la Corte Penale Internazionale adita da alcune organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani, ha rifiutato di intraprendere un’azione investigativa contro la Cina, in quanto non aveva giurisdizione sulla Cina per la maggior parte dei crimini, non essendo la Cina un membro della Corte.

Il Ministro degli Esteri della Turchia, Mevlut Cavusoglu, nell’ambito del Consiglio ONU per i Diritti Umani ha affermato: «La Turchia riconosce il diritto della Cina a combattere il terrorismo, ma dovrebbe imparare a distinguere tra terroristi e persone innocenti. Inoltre, i diritti umani universali, inclusa la libertà di religione e l’identità culturale dovrebbero essere rispettate”.[6]

Fino ad ora, a prevalere sono gli interessi economici che legano la Cina all’economia del mondo intero, con le condanne rimaste sulla carta mentre si stringevano nuovi accordi commerciali. Alcuni snodi fondamentali della Via della Seta, l’enorme programma strategico lanciato da XI Jinping a cui ha aderito anche l’Italia e che prevede la costruzione di nuove strutture di collegamento tra l’Asia, l’Africa e l’Europa, passano proprio dallo Xinjiang la cui stabilità è fondamentale.

Il 23 Marzo 2019, l’Italia ha firmato il nuovo Memorandum of Understanding della Via della Seta con la Cina, mantenendo un atteggiamento tiepido sul tema dei diritti umani.

La ragione per cui si tace su questo genocidio è il grande legame economico e commerciale che c’è tra il mondo occidentale e la Cina.

Alberta Limblici

Bibliografia

Maria Morigi, Xinjiang «nuova frontiera». Tra antiche e nuove vie della seta, 2019.

Sitografia

Francesco Moscatelli, “Chi sono gli Uiguri dello Xinjiang?”, 2009. https://web.archive.org/web/20090710060021/http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200907articoli/45308girata.asp

Jane Wakefield “AI emotion-detection software tested on Uyghurs”, 2020 https://www.bbc.com/news/technology-57101248

“UK accuses China of ‘gross’ human rights abuses against Uighurs”,2021 https://www.bbc.com/news/uk-politics-53463403

Maurizio Delli Santi, G7: negli scenari delle politiche globali il rischio di un nuovo “clash of systems”,2021. https://www.geopolitica.info/g7-negli-scenari-delle-politiche-globali-il-rischio-di-un-nuovo-clash-of-systems/

“China has turned Xinjiang into a police state like no other”, 2018. https://www.economist.com/briefing/2018/05/31/china-has-turned-xinjiang-into-a-police-state-like-no-otherGiulia Sciorati, “Cina: la questione uigura nello xinjiang”, 2021. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/cina-la-questione-uigura-nello-xinjiang-23987

Marco Lupis, “La Cina, gli Uiguri e lo Xinjiang: una gigantesca prigione a cielo aperto”, 2018. https://www.huffingtonpost.it/entry/la-cina-gli-uiguri-e-lo-xinjiang-una-gigantesca-prigione-a-cielo-aperto_it_605a055dc5b66a80f4eb1660

Francesca Capone, “Le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang: tra reazione della Cina e il lento risveglio della Comunità internazionale”, 2020.

http://www.sidiblog.org/2021/04/11/le-violazioni-dei-diritti-umani-nello-xinjiang-tra-la-reazione-della-cina-e-il-lento-risveglio-della-comunita-internazionale/

Tobias Schwarz/Afp, “Bruxelles sanziona la Cina sulla violazione dei diritti umani. Pechino controattacca” 2020 https://it.euronews.com/2021/03/22/l-ue-sanziona-pechino-per-violazione-dei-diritti-umani

Murad Sezer, “China committing genocide against Uighurs, says report”, 2021. https://www.aljazeera.com/news/2021/3/10/china-committed-genocide-against-uighurs-in-xinjiang-says-report


[1] Marco Lupis, “La Cina, gli uiguri e lo Xinjiang: una gigantesca prigione a cielo aperto”, 2021.

[2] Francesco Moscatelli,“Chi sono gli Uiguri dello Xinjiang?”, 2009.

[3] Francesco Moscatelli ,“Chi sono gli Uiguri dello Xinjiang?”,2009.

[4] “Jane Wakefield,AI emotion-detection software tested on Uyghurs” 2020.

[5]Francesca Capone, “Le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang: tra reazione della Cina e il lento risveglio della Comunità internazionale”, 2020.

[6]“ Turchia, Cina rispetti uiguri.” 2019. Su ANSA.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *