Ankara e Doha: stato dell’arte post-isolazionismo. Retoriche settarie e campi conflittuali regionali.


Cronistoria di un isolamento

Se volessimo rintracciare le coordinate dell’ultimo processo di de-istituzionalizzazione politico ed economico avvenuto nel Golfo Persico e che vede protagoniste, ancora una volta, politiche retoricamente etnosettarie ed intenti geostrategici, frutto di pratiche esclusiviste attuate nell’attuale scacchiere internazionale, dovremmo risalire al 5 giugno scorso. Data emblematica, in cui i membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg) decisero di indire un embargo diplomatico politico ed economico nei confronti dell’emirato del Qatar. Bahrein, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Yemen, con l’intento di creare un vuoto intorno a Doha, attivano un blocco attuando pratiche di esclusione, motivate, peraltro, da moventi che potremmo definire autoreferenziali. L’accusa mossa nei confronti del Qatar è, infatti, quella di sostenere le organizzazioni terroristiche. Nel caso di specie, Egitto e sauditi, alludono ai Fratelli musulmani, molto influenti a Doha. Per contro, Bahrein e Riyadh, accusano l’emirato di aver commesso delle ingerenze nei propri affari interni e temono altresì, un avvicinamento tra Qatar e Iran. La crisi del Golfo tra Riyadh e Doha è spiegata ricorrendo alla retorica confessionale, ma in realtà si tratta di un attacco diretto a Teheran, di una coalizione sunnita anti-iraniana nel Golfo, con l’unico intento di attivare una guerra per la supremazia sunnita tra Arabia Saudita, Turchia ed Egitto. Un campo regionale sempre più conflittuale. Ma la crisi saudita con il Qatar può essere dipanata adempiendo ad una serie di richieste, 13 per la precisione, le istanze poste nel giugno del 2017 a Doha, da Riyadh, il Cairo, Abu Dhabi e Manama. L’arresto dei finanziamenti pro-terrorismo, la chiusura della rete panaraba di Al-Jazeera, lo smantellamento della base militare turca nel Qatar (pedina importante di tale rappresentazione), la limitazione dei contatti con l’Iran, etc.

Lo status quo promosso da Riyadh e le consequenziali pratiche di isolazionismo non lasciarono indifferente le tendenze geopolitiche neo-ottomane dell’antica Anatolia, pertanto, il presidente Turco Erdogan decise di intervenire supportando militarmente Doha. Il primo paese sunnita che non prese le distanze dal Qatar, fu proprio la Turchia, ma anche Teheran si occupò della questione, inviando beni primari di sostentamento per ovviare alle problematiche scaturite dall’embargo imposto dai sauditi ed emiratini.

 

Gli attori: Ankara- Doha- Iran

Il presidente Erdogan ha sempre sostenuto di non credere alle accuse mosse nei confronti del Qatar:“Non credo che il Qatar stia finanziando il terrorismo. Qui si sta giocando un’altra partita”. Queste le parole che avrebbero motivato l’azione intrapresa dalla Turchia. Erdogan temeva, infatti, che dietro simili accuse vi fosse l’ennesima pratica di regime change posta in essere nei confronti del Qatar dalla coalizione araba e, più in generale, da Stati Uniti, Arabia Saudita e Israele.

L’8 giugno del 2017, tre giorni dopo l’attivazione dell’embargo saudita, Erdogan decide di intervenire a Doha. Lì, dove ad un secolo esatto dal ritiro ottomano dalla Penisola arabica, sorge una base militare, situata a 30 km da Doha e creata nel 2015, a seguito dell’accordo stipulato tra Erogan e l’Emirato Al-Thani. Quel giorno, infatti, viene emanata una legge. La risoluzione del parlamento turco autorizza, a fronte delle 300 unità che venivano ospitate nella base militare, il dispiegamento di ulteriori truppe, dai 3000 ai 5000 uomini in Qatar, tra forze di terra aeree e navali e fornirà, inoltre, addestramento militare all’esercito Qatariota, condividendo le proprie informazioni di intelligence riguardanti gli obiettivi comuni ai due paesi.

Ma cosa si cela dietro l’interventismo turco? Che rapporti intercorrono tra Ankara e Doha?

La crisi qatariota ha permesso alla Turchia di intensificare il ruolo militare della base a Doha, diventando la seconda base Nato in Qatar oltre alla massiccia presenza americana sul territorio. La realtà militare turca sorge, infatti, nel medesimo luogo in cui sorge la base americana di Al Udeid, la base che ospita il quartiere generale del commando centrale dell’aeronautica degli Stati Uniti, oltre ad essere sede dell’aeronautica militare dell’esercito del Qatar.

Dietro l’interventismo turco, si celano molteplici intenti sia di natura geopolitica che economica. L’unico processo di espansione concesso alla Turchia è quello marittimo. Questo, infatti,garantito dalla base istituita in Qatar e, recentemente, nel corno d’Africa, permettono, alla Turchia di imporre la propria presenza in rotte commerciali importanti per Asia e Europa. Dietro agli accordi, tra Ankara e Doha, in materia di sicurezza, si rintracciano altresì motivazioni economiche, soprattutto, da quando l’economia turca non gode più dello smalto pre-golpe 2016. Il Qatar è diventato, infatti, un partner fondamentale per Ankara. Si stima che il giro d’affari turco in Qatar ammonti a 13,5 miliardi di euro. Mentre gli investimenti qatarioti in Turchia siano pari a 12,5 miliardi. I rapporti commerciali tra i due paesi sono quantificati in un volume pari a 425 milioni di dollari e dal 2001 ad oggi le esportazioni turche in Qatar sono aumentate del 126%. Inoltre, due delle banche operative in Turchia sono di proprietà del Qatar (Finansbank e Abank). Ankara e Doha fanno parte dell’organizzazione della cooperazione islamica, collaborano alla cosidetta “finanza islamica” ed insieme hanno costituito un fondo turco per il benessere. Un fondo di investimenti condiviso per dare linfa ai progetti dell’Akp. Dunque, la Turchia non può non tutelare i propri interessi qatarioti. Il do ut des che sta alla base dell’intervento turco è presto spiegato. In cambio di protezione militare Doha dovrà supplire alle perdite subite dall’economia turca e si impegnerà a garantire forniture di gas, anche se, l’incontro tra Putin ed Erdogan potrebbe determinare il superamento della rottura diplomatica con Mosca.

Turkish soldiers carry a huge national flag and a portrait of Mustafa Kemal Ataturk, founder of modern Turkey, during a military parade marking the 93rd anniversary of Victory Day in Ankara, Turkey, August 30, 2015. REUTERS/Umit Bektas – RTX1Q9O8

L’intesa reciproca tra Turchia a Qatar, però, è ben presto rintracciabile se pensiamo alle molteplici questioni internazionali che le hanno viste allineate su posizioni comuni. Entrambe, infatti, sostengono le istanza tripoline in Libia, la ribellione anti-Assad, guardano con favore all’islam politico dei Fratelli Musulmani, condannano il colpo di stato in Egitto nel 2013 che ha condotto alla caduta di Morsi, ma ciò che accomuna su tutto Turchia e Qatar è la posizione ambigua mantenuta sullo scontro tra sauditi e iraniani e la politica estera. Lo spazio di manovra creato dalle primavere arabe e dalla crisi siriana è stato sfruttato sia da Erdogan che dallo Sceicco Al-Thani. Quest’ultimo, in particolare, ha riconfigurato l’identità di Doha, che sempre più diplomatica, ha assunto un ruolo strategico e funzionale in Medioriente, avallando per esempio le scelte iraniane e anche gli accordi sul nucleare. E non potrebbe essere altrimenti, visto che Doha condivide con Teheran l’enorme giacimento di gas naturale South Pars, ma pensiamo anche ai recenti vertici di Astana che coinvolgono Russia, Turchia e Iran. Doha, non ha mai accettato l’inasprimento saudita nei confronti della Repubblica Islamica.

Gli effetti dell’isolazionismo

Il contesto conflittuale che ha fatto da sfondo alla crisi qatariota ha determinato, di fatto, un vero e proprio boicottaggio? Secondo gli analisti, in realtà, il boicottaggio attuato da sauditi ed emiratini è clamorosamente fallito, almeno sul piano politico.

Come osserva Eleonora Ardemagni, per Affari Internazionali, Doha non è una capitale politicamente isolata. Infatti, i molteplici incontri diplomatici tenuti dall’Emiro Al-Thani in Germania ed in Francia, inducono a pensare ad un rafforzamento della politica di Doha e del conseguente allineamento tra Qatar, Turchia e Iran. Pertanto, sostiene l’analista, Doha invierà nuovamente l’ambasciatore a Teheran, il Ministro degli Esteri Russo si è recato a Doha e, proprio Mosca, vuole mediare e facilitare la crisi del Golfo. Infine, anche gli USA temono per la loro base americana in Turchia, anche se di fatto, si schierano con i sauditi. L’unico impasse in cui incorre il Qatar, dal punto di vista economico, è l’effetto boomerang del post-embargo: ha speso il 23% del PIL per sostenere l’economia interna.

 

 

 

Valeria Salanitro

 

 

 

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