#RadioAut – Erdogan vs. Assad. Ecco la nuova terribile fase della guerra in Siria



Siria – Il 28 Febbraio scorso, dopo una sortita dell’aviazione siriana nella provincia di Idlib (unico territorio mancante alla riunificazione territoriale siriana sotto il controllo di Damasco), costata la vita a 33 soldati turchi, si è entrati ufficialmente in una nuova fase della guerra in Siria, forse l’ultima ma, non per questo, meno distruttiva in termini di violenza dei combattimenti, inasprimento dei rapporti internazionali, e sofferenza per la popolazione civile.

Il Contesto – La presenza massiccia dell’esercito turco nel nord del paese a fianco di gruppi jihadisti delle sigle più disparate (da Hayat Tahir al Sham, l’ex fronte al Nusra affiliato ad al Qaeda, agli ultimi gruppi dell’ISIS), sostenute da anni in maniera più o meno velata in funzione anti-curda e anti-Assad, smaschera, se ancora ce ne fosse il bisogno, la politica estera di Ankara nei confronti del confine sud: creare una zona cuscinetto nel nord della Siria, un protettorato turco dove ricollocare gli oltre 3 milioni di profughi siriani presenti sul territorio turco ad oggi gestiti grazie ai 6 miliardi di euro versati da Bruxelles alle casse di Ankara, perseguendo, così, un doppio scopo:

Sul piano della politica interna – allentare le pressioni degli alleati di governo sia in relazione alla questione rifugiati, costata già ad Erdogan qualche crepa nella sua maggioranza acuitesi con la sconfitta elettorale a Istanbul e nella capitale, sia in relazione alla difesa dei confini nazionali turchi, basti ricordare che le prime operazioni militari in Siria condotte “alla luce del sole” da parte di Ankara, venivano giustificate come operazioni antiterrorismo, in cui i terroristi erano esclusivamente i curdi, grandi alleati dell’occidente durante la guerra all’ISIS (di fatto abbandonati al loro destino), ma allo stesso tempo storici nemici della Turchia.

Sul piano della politica estera – Erdogan persegue ancora l’obbiettivo dell’egemonia regionale nel mondo arabo, una partita che ha visto fino ad ora protagonisti Iran e Arabia Saudita. In perfetta aderenza con la svolta ideologico-religiosa intrapresa dal presidente turco negli ultimi anni, la Turchia si erge a difensore delle popolazioni sunnite, in questo caso siriane, che, nel 2011, si erano opposte alla famiglia Al-Assad, la quale ha reso la Siria un baluardo Sciita in Medioriente. La stessa ‘visone’, volta alla conquista di un ruolo di primo piano nelle questioni mediorientali, viene confermata dall’ interventismo turco in Libia, aumentando non solo la propria influenza nello scenario di crisi libico, ma entrando di fatto a pieno titolo nel dossier geostrategico del mediterraneo in cui la priorità è la corsa al controllo della nuova via del Gas (Progetto gasdotto EastMed da 6 miliardi di euro volto a ridurre la dipendenza dal Gas russo) in cui sono coinvolti Cipro, Egitto, Grecia, Italia e Israele ma non la Turchia.

La reazione internazionale – È in questo contesto che si sviluppa l’ultima fase del conflitto siriano, la cui connotazione di “guerra civile” è ormai stata surclassata da quella che, di fatto, è una guerra per procura in cui gli interessi perseguiti dai vari attori coinvolti non sono limitati al territorio siriano ma ad un’area compresa tra il Mediterraneo centro-orientale e la totalità del Medioriente. Per questo l’escalation militare di questi giorni tra Ankara e Damasco pone in allarme l’intera comunità internazionale.

Le organizzazioni internazionali – Nel giro di pochissime ore si sono tenuti due meeting di straordinaria importanza: uno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con esito poco fruttuoso ,vale a dire una dichiarazione congiunta di condanna dell’escalation e l’anticipazione di una probabile missione umanitaria con l’invio di ispettori ONU; e una riunione della NATO in cui la Turchia ha incassato la “massima solidarietà”, fine a se’ stessa, espressa a parole dal Segretario Stoltenberg, il quale sa perfettamente che non può permettere di incentivare il progressivo allontanamento di Ankara dal patto atlantico, ma allo stesso modo sa che gli stati membri più influenti dell’alleanza, fra tutti gli Stati Uniti in pieno periodo pre-elettorale, non hanno alcuna intenzione di sostenere Erdogan nel pantano siriano, soprattutto dopo che la stessa Turchia si è abbattuta sugli alleati curdi e ha stretto proficui rapporti economici e militari con la Russia di Putin (basti pensare agli accordi commerciali sul piano turistico ed energetico e all’acquisto da parte di Ankara del sistema missilistico S-400 made in Russia).

La Russia -Proprio Mosca risulta essere il vero “ago della bilancia”, tanto in Siria quanto in Libia. Putin sa che il proprio paese è ormai in grado di esercitare una grossa influenza nello scenario Libico, ma è il vero protagonista di quello siriano. Tuttavia si trova stretto tra due alleati – Assad e Erdogan – ormai in totale rotta di collisione tra loro, e non può permettersi il deterioramento dei rapporti con nessuno dei due poiché sia con l’uno che con l’altro la Russia ha forti interessi sul piano politico, strategico-militare ed economico. Uno scontro frontale tra esercito siriano ed esercito turco ha tutte le caratteristiche per rompere definitivamente un equilibrio tanto delicato quanto vantaggioso per Mosca e, per questo, la Russia sembra essere l’unico attore internazionale capace di far valere il proprio peso, e i propri interessi, affinchè si arrivi ad un accordo politico.

L’impressione, però, è che se il Cremlino sarà obbligato a scegliere, sceglierà l’alleato siriano a fianco del quale combatte da anni e con il quale sta per vincere una delle guerre più complesse del nostro secolo, che ha riportato in auge la Russia come imprescindibile interlocutore internazionale. Inoltre, Putin non dimenticherà di certo che Ankara ha completamente disatteso gli accordi di Sochi di due anni fa proprio tra Turchia, Russia e Iran, secondo cui, nell’area di Idlib, doveva essere attuato un cessate il fuoco e il disarmo dei gruppi jihadisti e ribelli con la supervisione dei militari turchi.

L’Unione Europea – per quanto dimostri ancora una volta inconsistenza politica, l’UE si trova a dover subire le minacce turche, sempre più concrete, sulla gestione dei rifugiati. La Turchia controlla infatti l’accesso potenziale verso l’Europa di oltre 3 milioni di rifugiati siriani e iracheni. A questo si aggiunge, come già detto, l’influenza politica in Libia, che potrebbe avere, tra gli altri, l’effetto ritorsivo di riaprire, incontrollato, il flusso migratorio dal Nord Africa verso le coste meridionali europee. La Libia, inoltre, è un asset energetico essenziale per l’Europa, ma gli interessi economici nel paese vanno anche oltre il settore degli idrocarburi, si pensi ad esempio alle commesse milionarie che diversi paesi (tra cui Italia e Turchia ) hanno in Libia nel campo della ricostruzione post guerra civile. Qualora nel paese dovesse continuare ad imperversare l’attuale situazione di instabilità, la Libia potrebbe davvero rappresentare un rischio ancor più serio per la sicurezza nel nord Africa e in Europa, diventando un vero e proprio ‘hub’ per la proliferazione di gruppi criminali e terroristi.

In conclusione – Che la situazione rischi di sprofondare in una spirale di crisi ben più grave di quella attuale, è confermato dall’ingresso, sabato scorso, di un numeroso convoglio di navi da guerra statunitensi nel bacino Mediterraneo: la portaerei USS D. D. Eisenhower, insieme ad altre 5 navi da guerra tra incrociatori lanciamissili e cacciatorpediniere, si uniranno alla 6ª flotta di base a Napoli, la cui area di competenza è proprio quella del Mare Nostrum.

La guerra in Siria, quindi, si intreccia ancor di più con quella in Libia, gli interessi geopolitici e geoeconomici spesso combaciano, così come gli attori coinvolti: ciò che avviene in uno scenario può avere conseguenze nell’altro e viceversa. Siamo forse di fronte ad una metamorfosi dei conflitti fin qui analizzati? L’ultima fase della guerra in Siria potrebbe trasformarsi in ciò che, al netto di una auspicata de-escalation, potrebbe essere definita come la 1ª guerra mediterranea, il cui fil rouge è senza dubbio l’approvvigionamento energetico e la conquista di nuovi spazi di influenza politica da parte di attori desiderosi di uscire da una condizione di isolamento progressivo ormai insostenibile: il riferimento riguarda, in primis, paesi come Turchia e Russia. La prima in rotta di collisione con Unione Europea e NATO sin dopo il fallito colpo di stato subito da Erdogan nel 2016. La seconda soffocata dalle continue sanzioni economiche soprattutto all’indomani dell’annessione de facto della Crimea del 2014 e l’appoggio alle repubbliche separatiste nel Donbass.

In questo ‘gioco’ tra Stati, in cui sono tante le responsabilità dell’ occidente, sono come sempre i più deboli a farne le spese: siano essi migranti in cerca di condizioni di vita migliori, profughi in fuga o i civili inermi di Idlib coinvolti in sanguinose offensive e controffensive militari, i quali, lo sanno tutti, sono e saranno, le vittime dello stesso film dell’orrore che ha visto come protagonisti le migliaia di persone rimaste uccise sotto le macerie delle case, delle scuole, degli ospedali di Aleppo, Raqqa, Homs, Mosul… Il tutto davanti i nostri occhi.

Lorenzo Gagliano
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