Sahel: la strategia di Macron per una Francia sempre più “global player”


G5 Sahel: la strategia di Macron
per una Francia sempre più “global player”

Il presidente francese Emmanuel Macron in questi mesi ha cercato di rilanciare le relazioni franco-africane, in particolar modo con l’obiettivo di recuperare quel canale di comunicazione privilegiato che il suo paese ha sempre avuto con le proprie ex colonie: il giovane presidente francese vuole infatti superare le forti critiche e polemiche derivanti dalle parole controverse da lui pronunciate in una dichiarazione al G20 di Amburgo del luglio scorso, contesto nel quale ha sostenuto che il continente africano, per svilupparsi, deve prima risolvere dei “problemi di civiltà”, frase che ha attirato su di lui l’accusa di razzismo. La Francia e i suoi partner occidentali si sono inoltre accorti della presenza economica e militare sempre più massiccia della Repubblica popolare cinese in Africa, cosa vista con un certo timore dal presidente Macron, il quale sa bene che è proprio all’interno del continente africano che si gioca la possibilità, per la Francia, di ricostituire la sua “grandeur” storica e una nuova posizione di forza a livello globale.

Da questo punto di vista, il presidente francese ha deciso di rafforzare la presenza militare d’oltralpe all’interno dell’area saheliana attraverso il rilancio, nel vertice di Bamako del 2 luglio, dell’FC-G5S, ovvero della forza congiunta anti-jihadista nata già nel 2014 e che raggruppa 5 paesi, cioè Mauritania, Niger, Mali, Burkina Faso e Ciad. Questo mini esercito, composto da 5000 uomini (1000 per ogni paese), ha il compito non solo di sconfiggere la minaccia jihadista, ma anche di stabilizzare e di rendere più sicura l’area e, indirettamente, di evitare quei disordini e quelle violenze che spingono moltissime persone a mettere la propria vita nelle mani dei trafficanti di esseri umani pur di riuscire a compiere la traversata del mar Mediterraneo e giungere in Europa.

Tale forza multiregionale, il cui comando centrale è stato stabilito nella città maliana di  Sévaré con a capo il generale Didier Dacko, non sostituirà per il momento le altri due operazioni militari già presenti all’interno dell’area, vale a dire l’operazione francese Barkhane, il cui costo complessivo è di 800 milioni l’anno e che conta più di 3000 effettivi, e l’operazione MINUSMA, la missione delle Nazioni Unite in Mali che conta circa 12000 soldati, a cui i 5 paesi africani prima menzionati contribuiscono già per il 40% con le proprie truppe. La forza congiunta del G5 Sahel dovrebbe sviluppare le proprie attività soprattutto al confine tra Mali, Niger e Burkina Faso.

A livello internazionale il rilancio di questa missione rappresenta un successo diplomatico del presidente francese: nonostante la ritrosia iniziale statunitense, già il 21 giugno la Francia ha ottenuto il voto favorevole dell’intero Consiglio di Sicurezza alla risoluzione n. 2359, la quale permette alla Francia di poter operare nel rispetto della Carta Onu. Questa iniziativa ha ottenuto anche il plauso del Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres, il quale ha sostenuto la necessità di un “approccio multidimensionale per mettere fine all’insicurezza”.

Per quanto riguarda i costi dell’operazione, si parla della necessità di un budget minimo di almeno 430 milioni di euro l’anno. Dato che i 5 paesi africani hanno già fornito propri militari nelle varie operazioni bilaterali e multilaterali dispiegate nell’area, i loro presidenti hanno richiesto un aiuto concreto economico e logistico sia alla Francia che ai suoi partner internazionali. La Francia ha già messo a disposizione 8 milioni di euro più tutta una serie di aiuti logistici e di forniture militari. Il Segretario di Stato americano Rex Tillerson ha dichiarato invece che gli Stati Uniti metteranno sul tavolo circa 50 milioni di dollari, a meno di veti improvvisi da parte del Congresso: nonostante il presidente Trump non condivida pienamente la strategia francese, egli crede che sia importante ampliare la presenza e la capacità di influenza statunitense nell’area, anche se in questo caso in maniera indiretta. L’Unione Europea, infine, ha già stanziato 50 milioni di euro e si è detta pronta a coprire almeno metà delle spese dell’intera operazione: in realtà, però, con molta probabilità i paesi africani non otterranno mai l’intero finanziamento, ma dovranno accontentarsi al massimo di 250 milioni.

I meriti di Macron sono sicuramente tanti. In primo luogo, il giovane presidente non solo è riuscito ad ottenere l’unanimità da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per l’approvazione della missione ma, durante il turno di presidenza in seno all’organo ad ottobre, è riuscito a rimettere la questione sul tavolo per operare tutte le pressioni necessarie al fine di ottenere fondi dagli alleati statunitensi: tale braccio di ferro col presidente Trump è però stato vinto solo in parte, in quanto l’idea di ottenere un’autorizzazione ampia e di far finanziare l’intera missione attraverso l’Onu (e, dunque, in gran parte utilizzando indirettamente fondi americani) è stata oggetto di un categorico rifiuto da parte dell’amministrazione americana. Inoltre, il merito principale del presidente francese è probabilmente quello di esser riuscito a compattare per una volta tutti i membri dell’Unione Europea su una questione di politica estera, ottenendo anche i finanziamenti necessari per la missione grazie soprattutto alle rinnovate e rafforzate relazioni con la Germania.

Non è però tutto oro quel che luccica. In primo luogo, molti analisti sostengono che il finanziamento della forza congiunta del G5 Sahel rappresenta la perfetta “exit strategy” dei francesi dall’area, in quanto il varo di questa missione permetterebbe il ritiro dell’operazione Barkhane. In questo modo la Francia otterrebbe vari vantaggi: manterrebbe la propria presenza nell’area, divenendo l’interlocutore primario di questi paesi; controllerebbe indirettamente la forza multiregionale; risparmierebbe gli 800 milioni dell’operazione Barkhane; lascerebbe il lavoro sporco sul campo alle milizie locali.

In secondo luogo, in un contesto sociale colpito da alti tassi di povertà e di disoccupazione, l’approccio securitario non può essere l’unico modo per riuscire a risolvere la questione del terrorismo, ma bisogna sicuramente aumentare i fondi per gli aiuti allo sviluppo. In questo senso, il presidente Macron ha promesso che la Francia fornirà 200 milioni di aiuti in cinque anni attraverso l’Agenzia francese per lo sviluppo: si tratta di un primo passo, ma sicuramente al momento non sufficiente.

Infine, per dimostrare la rinnovata attenzione francese al continente africano, Macron ha deciso di creare il 29 agosto il Consiglio Presidenziale per l’Africa, mantenendo così la promessa fatta in campagna elettorale: come da lui stesso detto in conferenza stampa, “non si tratta né di un think tank né di un fan club africano di Emmanuel Macron”, ma di un nuovo modo di sviluppare l’approccio verso l’Africa. Il consiglio è composto da 11 membri, prevalentemente giovani e con doppia nazionalità, impegnati in attività imprenditoriali o nel contesto della società civile: l’obiettivo di questo nuovo organo è quello di coordinare e programmare le dichiarazioni e i progetti per l’Africa.

ENRICO COCINA

 

Per approfondire:

http://www.lemonde.fr/afrique/article/2017/07/02/a-bamako-macron-promet-une-aide-financiere-et-logistique-aux-pays-du-g5-sahel_5154489_3212.html

http://www.lemonde.fr/afrique/article/2017/09/11/la-force-du-g5-sahel-se-met-progressivement-en-place_5183870_3212.html

http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/oltre-le-crisi-macron-e-il-suo-consiglio-presidenziale-lafrica-17772

http://www.lemonde.fr/afrique/article/2017/10/31/g5-sahel-les-etats-unis-s-engagent-sans-l-onu_5208170_3212.html

http://www.analisidifesa.it/2017/10/washington-finanzia-la-lotta-al-terrorismo-islamico-nel-sahel/

http://www.aljazeera.com/news/2017/11/g5-sahel-counterterrorism-force-explained-171102071159524.html

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