Elezioni politiche in Germania: nuovi equilibri di coalizione tra europeismo e nazionalismo


Da poche ore, in Germania, si sono chiusi i seggi per eleggere il nuovo Bundestag del prossimo quadriennio (2017-2021), ed il quadro istituzionale-politico che si prefigura rimane nettamente in linea con gli orientamenti statistici previsionali, ma con alcune inaspettate sorprese che non saranno indenni per la stabilità governativa federale tedesca. Ecco i risultati:

CDU/CSU (Partito Dem. Crist./Un. Crist.-Sociale Baviera) 33%       246 seggi.

SPD (Partito Socialdemocratico)                                            20,5%     153 seggi.

AfD (Alternativa per la Germania)                                        12,6%    94 seggi.

FDP (Partito Democratico Libero)                                           10,7%     80 seggi.

Die Linke (La Sinistra)                                                                9,2%       69 seggi.

Grune (Verdi)                                                                              8,9%       67 seggi.


Tenendo conto della legge elettorale tedesca, che consiste in un semi-proporzionale con soglia di sbarramento del 5% con la particolarità di un primo voto (Erststimme) e di un secondo voto (Zweitstimme), con cui gli elettori hanno la possibilità di votare rispettivamente per un candidato in collegi uninominali presenti in ogni circoscrizione e di scegliere un partito politico, in tutto sono stati assegnati 709 seggi, anche grazie al sistema del “Parlamento a fisarmonica”, in base al quale il numero dei parlamentari varia in base ai voti ottenuti. In un raffronto critico con le precedenti elezioni del 2013, risultano preminenti due questioni fondamentali: l’evidente calo dei consensi verso il partito di Angela Merkel, il CDU/CSU, con un -8,6%, e verso il partito di Martin Schulz, il SPD, con un -5%. A questi risultati deludenti dei partiti tradizionali, che nelle legislature precedenti avevano formato una necessaria e stabile “grossa coalizione” (Grosse Koalition), si accompagnano, invece, i risultati in crescita degli altri partiti, in primo luogo quello di estrema destra (AfD) con un +8,3%, i Liberali (FDP) +5,6%, i Verdi (Grune) +0,7% e Die Linke con un +0,3%. Partendo da queste percentuali, con la necessità di realizzare una maggioranza stabile per governare che consiste in poco più di 350 seggi, la Merkel molto probabilmente si avvierà a formare una coalizione “giamaica”: CDU/CSU (nero), FDP-liberali (giallo) e Grune-verdi (verde). Si tratta di una coalizione di Governo che certamente non sarà agevole formare e comunque non in tempi brevi. Nel 2013, ad esempio, sono passati circa tre mesi prima che nascesse il Governo di coalizione tra CDU/CSU ed il partito Socialdemocratico (SPD), che oggi invece ha annunciato di non volere più ripetere l’esperienza.

Con questa vittoria, la Merkel si allinea in fatto di longevità politica (sedici anni) al Cancelliere Helmut Kohl (1982-1998), al cui Governo la Merkel stessa, in occasione delle prime elezioni politiche tedesche post-unificazione del 1990, ottenne la carica di Ministra per le Politiche di pari opportunità e giovanili, e divenendo poi nel 1994 Ministra per l’Ambiente. Schulz, il candidato sconfitto del Partito Socialdemocratico (SPD), subito dopo la chiusura dei seggi, ha delineato chiaramente il suo programma politico, mettendo subito in risalto due punti determinanti, che avranno certamente delle serie ricadute sulla stabilità del quarto governo Merkel: il rifiuto di formare la coalizione di Governo con la CDU-CSU della Merkel, rimanendo pertanto all’opposizione con l’intento di un nuovo futuro vigore; e l’entrata nel Bundestag del Partito di estrema destra nazionalistico (AfD). Da questi punti determinanti, il discorso del leader dell’opposizione, ha puntato fin da subito l’attenzione sulla necessità di portare avanti i valori social-democratici anche grazie al coinvolgimento delle giovani generazioni che per la prima volta si affacciano al mondo della politica partecipativa. Da qui, il ruolo di una nuova responsabilità sociale con l’intento anche di lottare contro il nuovo potere parlamentare del partito di estrema destra (AfD), che Schulz stesso ha definito “un dolore ed una minaccia”.

In foto: Angela Merkel e Martin Schulz

Quest’ultimo elemento, d’altronde, è stato un punto su cui ha parlato anche la Merkel nel suo breve discorso dopo la chiusura dei seggi. L’analisi dell’ascesa dell’AfD, per la Cancelliera, dovrà essere affrontato insieme ad altri temi cruciali nel prossimo quadriennio, come la realizzazione di una Unione Europea sempre più forte e dinamica in grado di affrontare le nuove dinamiche geo-politiche internazionali in relazione alla nuova America di Trump ed alla Russia di Putin, la lotta contro forme di emigrazione illegali, ed il contrasto al terrorismo.

La percentuale del 12,6% dell’AfD rappresenta sicuramente un aspetto rilevante di queste elezioni politiche tedesche, non solo perché entra per la prima volta nella storia della Repubblica federale come forza politica autonoma e riconosciuta in Parlamento, ma anche perché raccoglie al suo interno un crogiuolo di insoddisfazione e di proteste contro la politica del CDU-CSU della Merkel che ha dominato la Germania negli ultimi dodici anni, ma anche contro le politiche dell’Unione Europea, a loro dire troppo evasive rispetto ai veri interessi del popolo tedesco. E’ un risultato elettorale vincente, quello del partito di estrema destra in Germania, che raffigura un fulcro di riflessione ineludibile per i prossimi equilibri europei, il cui segnale era già stato avvistato alle ultime elezioni politiche tenute in Francia a giugno scorso, con un aumento, seppur minimo, del partito di estrema destra “Fronte Nazionale” guidato da Marine Le Pen. Fino ad oggi, d’altronde, il fatto che alla destra del CDU-CSU non ci fosse nessuno, era considerato una garanzia della democrazia tedesca post-bellica.

In foto: Alexander Gauland e Alice Weidel, leader dell’AfD

I leader dell’AfD, Alexander Gauland e Alice Weidel hanno affermato che il compito principale dei loro deputati neo-eletti sarà in primo luogo quello di vigilare sulla politica europeistica della Merkel, in nome di una visione anti-emigrazione che porta come inevitabili conseguenze anche altri fattori, come la costruzione di una società tedesca che non sia più multi-religiosa e multi-culturale. D’altronde, per questo partito nazionalistico ed anti-europeistico, la recente Brexit delinea un loro costante punto di riferimento da cui è possibile cogliere la robustezza di uno Stato anche se fuori dai dettami fiscali ed istituzionali dell’Unione Europea.

Nei confronti di tutti questi temi, certamente non nuovi rispetto ai tre precedenti Governi CDU-CSU, la Merkel ha parlato di una nuova responsabilità a cui la Germania, leader dell’Unione Europea, dovrà corrispondere. Nonostante i risultati, le elezioni politiche tedesche sono state senza dubbio caratterizzate da alcuni fattori determinanti, che vale la pena mettere in risalto. In primo luogo la scelta, da parte del popolo tedesco, della continuità e della stabilità di un Governo a guida Merkel, con il suo partito CDU-CSU, tenendo quindi fermi i punti essenziali del suo programma: come la stabilità dell’Unione Europea con un sotteso asse portante franco-tedesco; una politica economica interna tendente ad aumentare l’occupazione, soprattutto giovanile, ed a tenere sotto controllo l’inflazione; ed una visione policentrica inerente una apertura controllata verso l’emigrazione dei rifugiati politici, che per la Germania della generale crisi economica mondiale-europea significa anche avere una disponibilità di forza lavoro specializzata su cui potere contare. Il secondo fattore riguarda invece una campagna elettorale tra i due maggiori sfidanti, Angela Merkel (CDU-CSU) e Martin Schulz (SPD), che ha avuto poca risonanza tra i media internazionali, tanto da essere stata definita, anche da importanti politologi, “noiosa” e senza colpi di scena. In pratica, diametralmente opposta rispetto alla campagna elettorale dei mesi scorsi per le elezioni presidenziale degli USA tra Donald Trump ed Hillary Clinton, caratterizzata al contrario da colpi di scena con l’intento di colpire il punto debole dell’avversario, come la frode fiscale di Trump e le “pastoie” burocratiche della Clinton durante la sua carica di Consigliere di Stato nell’amministrazione di Barack Obama.

Insomma, dato che la posta in gioco non è quella di governare il Paese più influente al mondo, come gli Stati Uniti d’America, il binomio Merkel/Schulz non è quello Trump/Clinton, tanto che i programmi elettorali, al di là di minuziosa differenze, erano sostanzialmente allineati, sia per la politica interna, sia per quella estera europea e mondiale. In entrambi i casi, infatti, la stabilità dell’Unione Europea, soprattutto in materia di politiche fiscali, austerità ed emigrazione, è stato l’unico punto fermo da tenere presente nel prossimo quadriennio governativo tedesco. All’interno di questo contesto, il programma politico del Partito Socialdemocratico (SPD) di Schulz, fino agli ultimi giorni di campagna elettorale, ha cercato di “tirare” gli indecisi sul alcuni punti, come il mantenimento attuale delle spese pensionistiche, senza aumentare l’età minima pensionabile; un aumento della tassazione fiscale progressiva per i redditi superiori a 76 mila euro annui; aiuti finanziari per l’acquisto della prima casa da parte di giovani con figli, con l’obiettivo principale di fare aumentare il tasso di proprietà immobiliare da parte dei tedeschi, ancora molto basso rispetto all’Italia; un livello basso delle spese militari, comunque non eccedente il 2% del PIL tedesco; e l’attivazione di una serie di investimenti pubblici, per un totale di 30 miliardi di euro spalmati nei quattro anni di Governo, riguardanti infrastrutture, istruzione e sanità. Come si evince, un programma politico non molto dissimile e distante da quello della Merkel. Anche questo spiega l’esistenza di un unico confronto televisivo tra i due candidati, e tra l’altro senza colpi di scena. D’altronde, non poteva essere diversamente, dato che entrambi sono europeisti convinti con una forte matrice franco-tedesca. Schulz è stato Presidente del Parlamento Europeo (2012-2017), mentre la Merkel Presidente del Consiglio Europeo dal 2007.

In pratica, il programma politico della longeva Merkel, che i tedeschi hanno preferito, è in linea con i tre precedenti, almeno nelle sue strutture portanti, al di là delle differenze di coalizione. Il Primo Governo della Merkel è del 2005 con la formazione di una “grossa coalizione” tra il Partito della Cancelliera (CDU-CSU) e la SPD di Schroder, in cui per la prima volta si è avviata un taglio alla spesa pubblica, in linea con le prime forme di austerità dei Trattati dell’Unione Europea, con un relativo aumento dell’IVA dal 16 al 19%. Il secondo Governo Merkel (2009-2013) è stato invece caratterizzato dalla coalizione con il Partito Liberale (FDP), ed infine l’ultimo (2013-2017) invece è stato delineato dall’uscita dal Bundestag del precedente alleato liberale (FDP) e dalla costituzione di una alternativa coalizione tra il CDU-CSU ed il Partito Socialdemocratico (SPD).

In foto: A. Merkel durante la prima conferenza stampa alla chiusura dei seggi

Nonostante la perdita di una percentuale vicina al 9% da parte del Partito della Merkel, la Cancelliera si accingerà a governare un Paese tra i più stabili ed equilibrati dal punto di vista economico e politico all’interno dell’Unione Europea. Un quadro che prospetta dati di rilevante importanza, con una crescita che si attesta al 2%, un avanzo in surplus in fatto di bilancia commerciale con l’export (si stima un +258,7 miliardi di dollari), una inflazione tenuta sotto controllo con una percentuale dell’1,8%, un tasso di disoccupazione pari al 3,7% ed una produzione industriale interna che ha registrato negli ultimi mesi un aumento del 4%. Si tratta di un quadro chiaramente ottimistico, che comunque lascia aperte alcune questioni non secondarie, come le riforme sociali non sempre allineate con i bisogni di tutte le classi sociali ed un sistema bancario centrale e locale ancora debole e per certi versi poco chiaro. Insomma, la Merkel si troverà nuovamente a guidare la locomotiva tedesca in grado di trainare anche l’intera economia europea, che non a caso raffigura ancora adesso uno dei punti più critici del ruolo della Germania all’interno dell’Unione Europea, in cui molti Stati membri non riescono ad allinearsi, come i mediterranei Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna (PIIGS).

Al di là della politica interna, il quarto mandato del Governo Merkel, dovrà affrontare anche questioni inderogabili che riguardano specificatamente il suo ruolo all’interno dell’Unione Europea, in relazione agli altri Stati membri, dalla forte alleata Francia del neo-Presidente Emmanuel Macron, a quelli più deboli-mediterranei. I primi passi della politica tedesca in relazione ad una ri-lettura dei Trattati europei, negli ultimi mesi hanno riguardato principalmente una certa tolleranza nella concessione di flessibilità nel rapporto tra debito pubblico/PIL e modifiche sostanziali degli accordi di Berlino in materia di gestione dei flussi migratori, analizzate per la prima volta dal recente incontro del luglio scorso di Parigi tra il Ministro dell’Interno italiano Marco Minniti, con gli omologhi di Francia e Germania (Gerard Collomb e Thomas De Maziere) con il coordinamento del Commissario europeo all’immigrazione Dimitri Amavropuolos. Eppure, nonostante queste “concessioni” tedesche, sono ancora molte le questioni aperte inerenti in maniera specifica il ruolo strategico forte della Germania all’interno dell’Unione Europea, che sono fonti di critica serrata da parte degli oppositori politici. Tra queste, ad esempio, l’adeguamento da parte di tutti gli Stati europei ad una politica fiscale basata sull’austerità e sui tagli alla spesa pubblica, che significa in sostanza un restringimento del welfare sociale ed una rincorsa costante al PIL. Si tratta, come sostenuto nel 1994 da un economista eterodosso “scomodo” di origini sudafricana, Hosea Jaffe (1921-2014), della realizzazione e della relativa imposizione di un “progetto tedesco” tendente a formare un suo personale capitalismo in concorrenza con quello americano, finalizzato ad omologare in chiave tedesca il mosaico europeo. Non casualmente, all’inizio degli anni Novanta, un quindicennio prima che l’Europa si avvalesse di molti suoi Trattati, a cominciare da quello costitutivo di Lisbona (2007), con molta lungimiranza politico-sociale, Jaffe scriveva: “La Germania, con tenace pazienza, dopo la guerra, si volse a costituire gli Stati Uniti d’Europa. Ma la leadership germanica doveva costituire qualcosa di naturale e di effettivo. Il prodotto di una serie di accordi. Era come se i suoi partner europei si fossero resi finalmente conto che senza la finanza e l’intelligenza germaniche l’Europa non potesse funzionare. (…) Il monolitismo tedesco crescerà sul piano economico e politico”. (Hosea Jaffe, Germania. Verso il nuovo disordine mondiale, ed. or. 1994; trad. it., Jaka Book, Milano 2012).

 

Salvatore Drago

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