Rapporto SVIMEZ 2020: Il Recovery Plan e la riduzione del gap tra Nord e Sud


Perché l'Italia ha bisogno dell'Unione europea (e come può migliorarla) -  Linkiesta.it

La crisi sanitaria rappresentata dal Covid-19 ha prodotto sulla società e sull’economia globali un effetto domino di gargantuesche proporzioni, influenzando negativamente gli aggregati economici di tutti i paesi. Tale rallentamento non ha potuto che sortire la diminuzione dell’occupazione ed una ricca serie di nefande ripercussioni conseguenti.
Basti pensare che, solo in Italia, -tra febbraio e giugno 2020- circa mezzo milione di persone ha perso il proprio posto di lavoro e, sebbene il nostro paese sia ad oggi l’unico ad aver adottato un forte blocco generale sui licenziamenti economici, il calo dell’occupazione si è attestato sullo stesso livello della media europea.

Oggi, dopo una prima adozione di tale misura con il decreto Cura Italia, ci si avvicina alla scadenza del primo rinnovo del blocco dei licenziamenti economici, fissata per il 31 marzo, e si discute sulla fondatezza di un ennesimo rinnovo, manovra sulla quale solleva il dubbio l’Osservatorio conti pubblici italiani.

Ma quella relativa all’occupazione è solo una delle tantissime sfide che l’Europa è oggi chiamata ad affrontare e, per farlo, la Commissione europea, il Parlamento europeo ed i leader dell’UE hanno concordato l’adozione del “Recovery and Resilience Facility” (noto come “Recovery Fund”), ovvero un fondo di recupero ideato con l’obiettivo di raccogliere liquidità da distribuire ai Paesi europei ritrovatisi ad affrontare le difficoltà più critiche cagionate dalla pandemia.

Per farlo, il Consiglio UE ha concesso alla Commissione, per la prima volta nella storia europea, la facoltà di incrementare le risorse proprie attraverso contrattazione sui mercati dei capitali di prestito per conto dell’Unione, il che si traduce in una condivisione dei rischi senza precedenti.


Il Recovery and Resilience Facility (RFF) è fulcro del “Next Generation EU (NGEU), lo strumento temporaneo che consente alla Commissione la menzionata raccolta di fondi, e che dota l’Unione di risorse non derivanti dai trasferimenti dei singoli Paesi membri, mettendo invece a loro disposizione 360 miliardi di euro in prestiti e 390 miliardi in sovvenzioni, per un totale di 750 miliardi.

Di questi 750 miliardi, ben 191,5 saranno destinati all’Italia: il 25,53% del totale.
Un risultato importante per il nostro Paese, soprattutto a seguito delle riserve sollevate all’Italia –ma non solo- da parte dei Paesi c.d. “frugali”: Danimarca, Svezia, Austria e Paesi Bassi.
Questi infatti –tra le altre cose- proponevano un massiccio taglio alla componente “sussidi” del NGEU, che inizialmente doveva essere di 500 miliardi.

Superato questo scoglio e raggiunto il compromesso con i Paesi del nord, la questione si sposta sul piano nazionale.

Il Recovery Fund non va confuso con il Recovery Plan, quest’ultimo indica il Programma di Ripresa e Resilienza (PRR) inizialmente redatto dallo scorso governo e le cui basi sono a loro volta contenute nel Programma Nazionale di Riforma (PNR), documento che illustra le politiche che il Governo intendeva adottare nel triennio 2021-2023 per il rilancio del paese.
A sollevare dubbi sulla bontà del contenuto del Recovery Plan è stata SVIMEZ: l’Associazione per lo sviluppo dell’industria e del Mezzogiorno.

Si tratta di un’organizzazione privata senza scopo di lucro istituita nel 1946 che, già dai primissimi anni del secondo dopoguerra, auspicava uno sforzo per la ricostruzione capace di indirizzare verso il superamento del gap tra nord e sud Italia.
Se realtà come SVIMEZ operano tuttora è perché tale gap, ancora, è largamente da colmare, questo è ciò che trapela dai report prodotti dall’associazione stessa ogni anno dal 1974.

 

Rapporto SVIMEZ2020 sull’economia e la società del Mezzogiorno

L’Italia diseguale di fronte all’emergenza pandemica:
il contributo del Sud alla ricostruzione

Il Rapporto evidenzia da subito come, sebbene l’epicentro dell’epidemia in Italia sia stato al Nord, questa si sia estesa rapidamente al Mezzogiorno, dove ha incontrato una società ed un sistema del lavoro più fragili ingenerando, o inasprendo, l’emergenza sociale.

Il documento offre una panoramica estesa del divario tra Nord e Sud.
Il Meridione “vanta” per il periodo 2015-18 un incremento del PIL del 2,5%, contro una crescita settentrionale del 5,2% per lo stesso periodo, valore comunque lontano dalla media UE del 9,3%.


SVIMEZ accusa un arretramento generalizzato, non solo del sud quindi, ma anche interno al centro-nord stesso.
Ed è in questo scenario che si sostanzia il malcontento espresso dall’associazione, nella persona del Direttore Luca Bianchi, a seguito della pubblicazione della prima bozza del Recovery Plan che ha definito come “assolutamente insoddisfacente” per via di un’iniziale strategia considerata <<….troppo sbilanciata sugli incentivi che pesavano per oltre un 40% e priva di una chiara priorità per gli investimenti volti a ridurre il divario nell’offerta di servizi (istruzione, sanità, mobilità) tra le diverse aree del Paese >>.


Bianchi, economista esperto in sviluppo territoriale, valuta più positivamente la nuova versione del R.P., che può vantare una ripartizione più equilibrata delle risorse.
Alza il dito contro il sistema a quote attraverso il quale, dice, non possono essere allocati gli investimenti nel Mezzogiorno.
Alla base di tale dissenso vi è un ragionamento derivante dall’osservazione perpetrata dall’Associazione in tutti questi anni: <<… ragionare per quote ripropone dinamiche inutili se non dannose…>>.


Il rischio di cui avverte Bianchi è quello di cadere nella classica contrapposizione tra rivendicazioni Sud contro Nord, per questo in linea di principio è un bene che i fondi siano ripartiti equamente: 50% al Centro-Nord; 50% al Sud.
Il problema del Sud non sarebbe quello di vincere la battaglia degli stanziamenti, ma quello di perdere la battaglia della spesa virtuosa e della prevenzione degli sprechi, problemi concreti del Meridione e che sarebbero da ricondurre ad una intermediazione impropria della politica locale.

Al sistema delle quote Bianchi propone di contrapporre il sistema dei target nazionali, che siano chiari e facilmente identificabili.

Il beneficio si concretizzerebbe nel minor rischio di veder stanziati fondi che non saranno mai impiegati e che, probabilmente, saremo costretti a restituire un domani, come è successo in Sicilia per i 630 milioni stanziati da Bruxelles per strade, scuole, servizi e innovazione nel 2020.

SVIMEZ mette dunque in guardia dal pericolo di non veder fruttare a dovere i fondi per il Sud, area del paese in cui sortirebbero i migliori risultati per via di un moltiplicatore degli investimenti più alto.
Le minacce da affrontare saranno sicuramente numerose, per farvi fronte il Direttore caldeggia un rafforzamento del presidio nazionale, capace di accompagnare i finanziamenti con delle adeguate riforme, a partire dalla pubblica amministrazione, per realizzare un reale cambiamento di Governance.
Lo strumento di analisi economica quantitativa dello SVIMEZ, NMODS, è stato sviluppato proprio per analizzare distintamente Centro-Nord e Sud Italia in quanto governati da diversi meccanismi.

Se le condizioni esposte dal dottor Bianchi venissero seguite, sarebbe verosimile attendersi uno scenario più ottimistico, in cui il PIL del Mezzogiorno potrebbe raggiungere l’11,6% e la creazione di nuovi posti di un milione di nuovi posti di lavoro, di cui la metà al Sud, determinando altresì una maggiore crescita complessiva dell’economia di un punto percentuale.


La strada per il livellamento delle disparità geografiche è ancora lunga, ma molti sono gli orizzonti politici e geopolitici, ancora da discutere, che potrebbero aiutare nell’inversione di rotta, restituendo al Sud quel ruolo egemonico che lo ha visto protagonista del Mediterraneo per secoli.
Il momento attuale potrebbe rappresentare la seconda ed ultima occasione per il Sud di ridurre, in prima battuta, le distanze con il Nord e, forse, annullarle del tutto nel tempo.

Un’impresa sfidante, che potremmo ricordare come lo storico spartiacque di un Meridione finalmente non più sovrapponibile con immagini di arretratezza economica e sociale.

A cura di Manfredi Cinà
Dott. in Sviluppo economico e cooperazione internazionale

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