Fine dei giochi. La diplomazia olimpica e la sconfitta statunitense


 

FINE DEI GIOCHI

 

In una fredda notte di febbraio, in uno stadio gremito da centinaia di migliaia di persone ed altrettanti altri milioni di fronte ad un computer, alla televisione o chini sulle pagine di un quotidiano, nella piccola città di Pyeongchang in Corea del Sud, qualcosa di incredibile è accaduto.

Se questa vicenda fosse un romanzo, un racconto, probabilmente inizierebbe così. Tuttavia l’evento di tale incredibilità di cui si sta per trattare, pone un punto, uno spartiacque, a tutto quello che in termini globali è stata definita politicamente, militarmente, economicamente e storicamente Pax Americana.

La sera del 9 febbraio 2018, alla cerimonia di apertura dei XXIII giochi olimpici invernali di Pyeongchang, le diplomazie e la comunità internazionale ha assistito alla morte della diplomazia degli Stati Uniti d’America.

Il memorabile e storico incontro tra i diplomatici e politici delle due Coree, ufficialmente in guerra dal 1950, la stretta di mano tra il presidente sudcoreano Moon Jae-Li e la controparte nordcoreana Kim Yo-Jung, sorella di Kim Jong-Un e soprattutto la totale indifferenza del vicepresidente americano Mike Pence, sottendono la fine dei giochi della diplomazia americana come garante della pace e dell’equilibrio mondiale.

Da diverse settimane si vociferava di una potenziale quanto incredibile gareggiamento sotto un unico comitato, dei due paesi asiatici. I diplomatici coreani, con il beneplacito di Russia e Cina, hanno abbassato i toni dello scontro militare alzando invece quelli del dialogo per una possibile risoluzione al conflitto che da sessantasette lunghi anni attanaglia la penisola coreana in un continua escalation di minacce, test balistici nucleari e l’attesa di una mai avvenuta rappresaglia militare da uno dei due belligeranti.

I canali comunicativi utilizzati dalle diplomazie coreane lo scorso gennaio, che hanno presentato al mondo la base per una futura unificazioe sono state quelle dell’Area di Sicurezza Congiunta (JSA) delle Nazioni Unite, nella zona demilitarizzata situata nel villaggio di Panmujeom, lungo la linea di demarcazione tra i due paesi al 38° parallelo.

Tuttavia questa apertura “in solitaria” del Sud non piace affatto agli alleati americani. Con quasi 40 mila unità dispiegate nel paese, le truppe americane sono da sempre in prima linea pronte a contrastare un eventuale invasione da nord, o almeno così è stato fino alla fine dell’era Obama.

Donald Trump, il primo presidente nell’era post Americana, ai pochissimi obiettivi conseguiti dal suo blando isolazionismo, come la disoccupazione che tocca appena il 4%, se ne aggiungono innumerevoli altri a sbarrargli la strada come il livello dei consensi, tra i più bassi raggiunti da un presidente americano, la lotta sociale alle lobby per le armi, il Russiagate e la totale ignoranza e incapacità del suo staff diplomatico nel risolvere le gravi crisi che avvolgono il mondo. E il perpetuo giocare a far la guerra, giù in Corea, la falsa quanto preoccupante intesa economica con la ascendente ascesa Cina di Xi Jinping, i mancati onori alla sorella di Kim Jong-Un la sera dell’apertura dei giochi, da parte di Pence e consorte delineano alla massima potenza, l’impotenza diplomatica americana; la fine dell’egemonia di quello che è stato il più grande e il più potente Stato nella storia dell’umanità.

Emanuele Pipitone

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *