IUS SOLI: PERCORSI EUROPEI E PROBLEMATICHE ITALIANE


DIRITTO DI CITTADINANZA: PERCORSI EUROPEI E PROBLEMATICHE ITALIANE

Uno dei temi che ha acceso maggiormente l’estate italiana è stato, senza dubbio, quello che ha riguardato la possibilità (concreta fino a qualche mese fa) di riformare la legge che disciplina l’accesso alla cittadinanza italiana da parte di persone straniere. L’attuale legge è incentrata sui principi dello ius sanguinis e dello ius domicili (ossia fondato sulla lunghezza del periodo di residenza in Italia dei richiedenti), mentre con la riforma, che per calcoli politici è rimasta bloccata in senato da giugno e che quindi difficilmente verrà ridiscussa prima della fine di questa legislatura, verrebbero introdotti anche uno ius soli di tipo temperato e lo ius culturae.

L’interesse principale di questo articolo non è quello di valutare i pro e i contro di tale proposta, né tanto meno quello di dare adito ad argomentazioni di tipo morale o ideologico sulla questione dell’accesso alla cittadinanza, ma di valutare la sua possibile applicazione portando l’argomento su di una base transnazionale, analizzando brevemente le tendenze che hanno caratterizzato l’evoluzione di tale normativa all’interno degli stati dell’Unione europea negli ultimi 25 anni, considerando come snodo fondamentale l’istituzionalizzazione della cittadinanza europea (1993) e la prima stagione del terrorismo internazionale (2001-2005).

La prima premessa che va posta è che per analizzare meglio la questione bisogna svincolarsi dalla visione di una cittadinanza come istituzione di tipo puramente identitario e considerala anche sotto un punto di vista di tipo funzionale e strumentale. Questa infatti permette, a chi ne fruisce, di accedere non solo ad un pacchetto di diritti e doveri (il voto fra tutti), ma anche ad una serie di risorse e servizi (come l’assistenza e gli impieghi pubblici) che insieme servono a definire un contesto sociale che possa o meno definirsi coeso e funzionale.

In Europa le legislazioni in materia di cittadinanza sono composte prevalentemente da una combinazione di ius sanguinis e ius soli in cui spesso uno dei due principi serve a temperare l’altro: la natura di questi è prettamente giuridica, essa diventa identitaria solo in base ai climi politici che si producono all’interno dei singoli stati in un determinato momento storico. La presenza dello ius soli non per forza indica la compresenza di un ordinamento liberale, così come la presenza del solo ius sanguinis non determina un’idea di nazione esclusiva. A determinare la maggiore o minore liberalità della cittadinanza sono le condizioni e i requisiti con cui i due principi vengono applicati.

Dunque, analizzando la situazione europea nel periodo di tempo sopra indicato, ci si rende conto di una doppia tendenza. La prima è quella che ha seguito l’istituzionalizzazione della cittadinanza europea, che, dopo Maastricht, viene separata dall’ accezione puramente economica che la caratterizzava durante la CEE e può così finalmente cominciare un percorso di sviluppo del suo contenuto in termini di diritti fondamentali (anche se nella realtà dei fatti essa continua a mostrare i suoi effetti maggiori solo nella libertà di movimento dei cittadini all’interno dell’UE, rendendosi quasi senza valore per gli stanziali, ma questa è un’altra problematica).  

Fonte: Sole24Ore

 

All’indomani di questa novità è possibile notare come nel panorama comunitario si sia innescata una sorta di convergenza tra tradizioni diverse: paesi che fondavano la propria legislazione prettamente sullo ius sanguinis hanno aggiunto elementi di ius soli, mentre altri che tradizionalmente erano legati a quest’ultimo hanno introdotto sistemi per limitarlo. Bisogna sin da subito dire che questa stagione che ha portato una generale liberalizzazione delle riforme non può essere considerata come frutto di un qualche tipo di “armonizzazione”, in quanto, in primo luogo, sicuramente non è stato il risultato di una serie di scelte coordinate intenzionalmente da parte dei governi, quanto piuttosto la fine di un processo dettato dai bisogni puramente strumentali degli stati a seguito dell’introduzione della libera circolazione dei cittadini UE all’interno dei suoi confini; in seconda battuta va registrato come le legislazioni dei paesi europei siano comunque rimaste ben differenti tra loro.  

In ogni caso, questo periodo ha visto l’introduzione dello ius soli in 13 paesi che prima non lo contemplavano (come per esempio in Austria, Finlandia, Germania e Svezia), mentre in altri è stato rafforzato in maniera significativa (Belgio, Francia, Grecia, Portogallo) e solo in Danimarca e in Irlanda è stato rimosso.

Dopo il 2001 invece, a seguito della prima stagione del terrorismo internazionale iniziata con l’attacco delle Torri Gemelle nel 2001, ciò che è evidente è un’inversione di rotta rispetto alla liberalizzazione del periodo precedente. Cominciano a prevalere sempre più istanze di tipo securitario all’interno degli stati europei. Questa stagione, pur non essendo risultata uno stravolgimento di quanto fatto dai governi in precedenza, vede l’imposizione di riforme che hanno vincolato le legislazioni sulla cittadinanza a norme sull’immigrazione sempre più rigide.

E l’Italia come ha percepito questi stimoli esterni? Il nostro paese è rimasto totalmente avulso dal processo di liberalizzazione che aveva coinvolto l’Europa a partire dalla metà degli anni ’90, andando addirittura contro tendenza rispetto agli altri rafforzando le misure di ius sanguinis e aumentando il periodo necessario di residenza continuativa per ottenere la naturalizzazione, portandolo da 5 a 10 anni (in altri paesi europei è successo l’esatto opposto, come in Germania dove viene portato da 8 a 4) e dando forma in questo modo alla legislazione più restrittiva in Europa in ambito di accesso alla cittadinanza.

Al contrario, a inizio 2000, l’Italia si fa travolgere eccome dalle correnti esclusive che hanno caratterizzato il secondo periodo preso in esame. La manifestazione di ciò è ravvisabile soprattutto nell’inasprimento delle misure sull’immigrazione (legge Bossi-Fini del 2002).

Nella foto Ragazzi assistono alla discussione sullo Ius Soli
Photo Roberto Monaldo / LaPresse

 

 

Alla luce del percorso appena descritto quali sono le problematiche dell‘attuale legge italiana? L’ultima riforma in materia risale al 1992. Questa ha basato il nostro sistema di accesso alla cittadinanza sulla complementarietà tra ius saguinis e ius domicili, che ha generato una forte asimmetria generazionale tra gli immigrati, rischiando di escludere dalla cittadinanza settori cruciali per la costruzione di un tessuto sociale coeso, ossia i bambini, gli adolescenti e i giovani adulti. Questa legge è stata prodotta in un periodo di bassa immigrazione per l’Italia e non è stato possibile (ovviamente) tenere conto del boom dei flussi migratori che avrebbero coinvolto il nostro paese dopo il 2010. La forte dilatazione temporale che caratterizza l’iter per l’acquisizione della cittadinanza (servono un permesso di soggiorno di lungo periodo e 10 anni di residenza continuata per gli extra-comunitari, più altri 2-3 per far sì che la burocrazia completi tutte le procedure) ha creato un sistema in cui chi arriva in Italia da bambino rischia di dover aspettare fino ai 25-30 anni per ottenere il diritto alla cittadinanza, non potendo accedere a determinate risorse (dall’iscriversi ad un torneo sportivo al fare un anno di Erasmus durante l’università) fondamentali per una  completa adesione al tessuto sociale (rimane sempre la possibilità di fare richiesta per ottenere la cittadinanza a 18 anni, ma, data la procedura assai complicata e l’obbligo di fare domanda entro il compimento dei 19 anni, sono in pochissimi a richiederla). In una situazione come questa l’introduzione di uno ius soli di tipo temperato, ma soprattutto dello ius culturae, potrebbero essere determinanti per l’inserimento di questa fascia generazionale all’interno della società.  

Simone Cacioppo

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