Euroscetticismo: una particolare forma di Populismo


Il populismo non è prettamente una forma di governo, esso si configura piuttosto come un approccio alla politica, che presuppone un rapporto continuamente evocato non solo con il proprio elettorato, ma con l’intera pletora alla quale il decisore politico si rivolge, con il popolo appunto. Esso viene esaltato come “fonte precipua di ispirazione e termine costante di riferimento” (Grassi 733:2016). In quanto approccio esso non risulta essere caratterizzato da un’unica ideologia o da una struttura programmatica precisa. Piuttosto, tale approccio viene utilizzato in maniera trasversale da una serie di movimenti e forze politiche così tanto eterogenee tra loro, che individuarne gli aspetti comuni risulta spesso difficile. Malgrado la storia del populismo risalga ai primi anni dell’800, soltanto durante gli ultimi anni la forza di tale approccio si è affermata in una maniera tanto dirompente all’interno del dibattito politico, da suscitare l’attenzione di studiosi, policy maker e opinione pubblica. L’articolo che segue si propone di indagare brevemente, partendo dalla visione proposta da Cas Mudde del populismo, le radici del populismo euroscettico, per valutarne le caratteristiche principali: le ragioni, i punti di forza e di debolezza.

 


 

 

 

 

 

 

 

Cus Mudde, celebre esponente della scienza politica contemporanea, durante uno dei suoi convegni sul populismo

L’argomentazione del “noi contro loro”

Come Cus Mudde (2004) fa notare, la narrazione attorno al fenomeno della crescita dei populismi, tende a caratterizzarne il metodo come prettamente negativo. Secondo lo studioso il populismo viene troppo spesso ritratto come uno strategico metodo di utilizzo degli umori più bassi del popolo, un parlare alla pancia di esso, per proporre soluzioni semplicistiche e molto spesso irrazionali, al fine di trarre il massimo del consenso. Sia nel linguaggio giornalistico, che in quello politico, troppo spesso il populismo viene confuso con la demagogia e con l’opportunismo. Al contrario, Mudde si concentra maggiormente sulla narrazione populista, analizzandone la natura. Essa, per quanto camaleontica possa essere, risulta sempre essere caratterizzata da due elementi fondamentali: le élite e il popolo. Egli definisce quindi il populismo “Un’ideologia che considera la società come divisa in due gruppi omogenei e antagonisti: il popolo «puro» e le élite «corrotte» e che ritiene che la politica debba essere espressione della volontà generale del popolo.” (543:2004). Una definizione del genere, seppur non esaustiva, riesce comunque a ritrarre per sommi capi quella che è l’idea generale dei movimenti populisti del XXI secolo. Andando più nel dettaglio, ciò che distingue i suddetti movimenti, riguarda la scelta dei soggetti ai quali attribuire l’etichetta di “popolo” piuttosto che di “élite”. Sulla base di tale distinzione, Mattia Zulianello (101:2017) individua 3 tipi di populismo. Il populismo neoliberale identifica il “noi” come tutti i cittadini contribuenti e il “loro” come la burocrazia, i sindacati e i partiti politici ed è tipico dello Ukip Inglese e in parte anche del Trumpismo. Il social populismo vede, secondo Zulianello, nei lavoratori e nelle classi sociali più deboli in genere, il soggetto al quale rivolgersi nella battaglia contro le élite, costituite da partiti politici, banchieri, multinazionali e interessi lobbistici in genere. È questo il caso di movimenti come Podemos in Spagna e Syriza in Grecia. Lo studioso individua infine nella destra radicale populista un principio di riconoscimento identitario con la popolazione nativa, fiera del proprio sovranismo. Essa si contrapporrebbe a chiunque mini la propria autodeterminazione e la propria identità nazionale: principalmente i partiti politici e coloro i quali sostengano in diversi modi e a diversi livelli il multiculturalismo. Alcuni di questi aspetti possono essere riscontrati nella Lega Nord in Italia, in Fidesz in Ungheria, nei Democratici Svedesi e in diversi altri movimenti sparsi in tutta Europa. Sulla base della definizione di Mudde (2004) e dello studio di Zulianello (2017) l’euroscetticismo si configura come una particolare forma di populismo, che unisce tutti quei movimenti che hanno come scopo lo stravolgimento dell’attuale sistema dell’Unione Europea (l’élite) e, in alcuni casi, la sua fine. L’individuazione dei soggetti in lotta varia a seconda della forza politica in discussione e del contesto culturale all’interno del quale essa è nata e si è sviluppata. Ai fini di una maggiore comprensione del fenomeno populista dell’euroscetticismo, risulta fondamentale indagare sui fenomeni che hanno portato all’emergere del fenomeno euroscettico e quindi quali siano le argomentazioni portate avanti dalle forze politiche in questione.

 

Cause dell’Euroscetticismo Deficit democratico

Il deficit democratico viene definito come quello squilibrio causato, all’interno di un sistema politico, tra il potere del popolo e il potere di altri organi. In particolar modo, vi è un deficit democratico ogni qualvolta il popolo ha meno potere di quello che dovrebbe. Certamente una definizione del genere lascia spazio ad un numero piuttosto ampio di teorie sulla quantità di potere che al popolo spetta e sul giusto sistema di pesi e contrappesi che possono rendere un regime democratico. La questione riguarda quindi l’atavica separazione tra le democrazie ideali e quelle reali. Prendendo in considerazione un sistema politico, si può riscontrare un deficit democratico in entrata (nella fase degli input) oppure in uscita (nella fase degli output). La carenza di democrazia in entrata può essere causata da una scarsa affluenza alle urne, dai vincoli reali che rendono l’esercizio del voto sostanzialmente più difficoltoso, dalla percezione degli elettori che l’offerta ad essi proposta sia esigua, oppure ancora dalla scarsa possibilità associativa di cui godono i cittadini. Il deficit democratico in uscita, inerisce invece quasi del tutto alla scarsa qualità delle politiche pubbliche. In riferimento all’Unione Europea, Gianfranco Pasquino (2016) ritiene che il deficit democratico possa essere individuato durante la fase di output. Pasquino ritiene infatti che il problema sia principalmente legato al meccanismo dell’Accountability, ovvero del rendere conto del proprio operato all’elettorato. In sua opinione, infatti, quel che manca all’operato dei membri delle istituzioni europee è la responsabilizzazione delle proprie azioni. Non esiste dialogo con il proprio elettorato e i cittadini europei sono poco coinvolti nelle scelte degli eurodeputati che loro stessi scelgono di far sedere all’Europarlamento. Malgrado la visione del deficit democratico di Pasquino sia circoscritta ad un solo aspetto del modus operandi delle istituzioni europee, le forze politiche sovraniste tendono invece ad attaccare in toto la poca trasparenza del metodo decisionale della piramide legislativa europea (Commissione, Consiglio e Europarlamento). Infatti, pur essendo il Parlamento l’unica istituzione i cui membri sono direttamente eletti dai cittadini, il suo ruolo resta comunque marginale per quanto riguarda l’iniziativa legislativa, che resta invece nelle mani della commissione, i cui membri sono nominati dai capi di stato e di governo degli stati membri. In un contesto nel quale le elezioni europee sono già di per se poco partecipate, un’elezione indiretta come quella dei membri della Commissione, seppur vincolata all’approvazione del Parlamento, non fa altro che alimentare la già ampia dicotomia che separa cittadini e istituzioni. Tra le diverse forze politiche favorevoli all’uscita dall’Euro e dall’Unione Europea, i principali si trovano in Francia con il Fronte Nazionale (secondo partito), in Ungheria con Fidesz (attualmente primo partito) in Danimarca con il Partito del Popolo Danese (primo partito), in Austria con il Partito della Libertà (terzo partito) e, in misura minore, in Italia con la Lega Nord (quarto partito). Il processo di spillover causato dall’integrazione europea ha, secondo tali forze, eroso in maniera inaccettabile le singole sovranità nazionali, aumentando gli interessi di élite tecnocratiche e finanziarie, a scapito dei cittadini.

Crisi dei migranti

La questione della crisi migratoria sembra essere, se possibile, ancor più delicata e complessa di quella relativa al deficit democratico. L’ingente flusso migratorio, che segna ormai un trend crescente dalle primavere arabe a questa parte, ha rimesso in discussione alcuni tra i principi universali maggiormente riconosciuti in relazione alla tutela dei rifugiati politici. La dittatura in Eritrea, il terrorismo in Somalia e Nigeria (principali paesi di provenienza dei migranti secondo l’UNHCR), così come l’instabilità causata principalmente dalle scelte occidentali interventiste in Libia e in Siria, hanno portato all’emergere dell’eterno scontro tra la realista concezione dello stato come palla da biliardo, indifferente alle influenze e alle problematiche esterne, e la liberale concezione inerente la necessità di cooperare a livello internazionale per affrontare problemi comuni. Da un lato gli isolazionisti e i sovranisti, dall’altro alcune (poche) forze politiche e Organizzazioni non Governative che spingono per il rispetto del diritto umanitario. Schiacciati tra incudine e martello si trovano centinaia di migliaia di migranti ai quali l’Europa non è ancora riuscita a dare risposte. Inutili gli appelli di Amnesty International per la creazione di canali umanitari sicuri nel mediterraneo. Inutile è stata altresì la decisione della Commissione Europea di ripartire in quote basate su pil, popolazione, livello di disoccupazione e rifugiati già presenti sul territorio nazionale, i migranti tra i vari stati membri. Paesi come Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia hanno più volte manifestato il loro dissenso alla politica di accoglienza promossa da Commissione e Consiglio, decidendo di adire alla Corte di Giustizia Europea. Secondo i dati della Commissione Europea Austria e Danimarca non hanno ancora accolto alcun profugo che gli sarebbe spettato secondo la politica di rilocation. Un altro esempio di come il motto europeo “unità nella diversità” non rappresenti più quella che è la realtà dell’Unione, è incarnato dal patto Ue-Turchia per la gestione dell’enorme flusso di richiedenti asilo per lo più siriani, che dal territorio turco, sbarcano nelle coste Greche. Più di 3 miliardi garantiti alla Turchia, per il rimpatrio di richiedenti asilo, respinti dai rifugi dell’UNHCR e dagli hot spot in Grecia. Un accordo che Amnesty International ha giudicato “un disastro per le migliaia di persone abbandonate a sé stesse in un limbo pericoloso”. Le condizioni igienico-sanitarie dei rifugi dei centri di detenzione sulle isole greche sono spesso terribili e diversi respingimenti anche illegali. Una crisi talmente tanto radicata sta alle base di un’integrazione europea non del tutto consolidata e rappresenta un terreno fertile per diversi movimenti populisti e non. In un contesto del genere, infatti, il fenomeno si presta ad essere oggetto sia di campagne demagogiche, che mirano a puntare il dito contro “il migrante che ruba il lavoro”, sia, dall’altro lato, a campagne di forze che possibilmente non sono rientrano all’interno della logica populista, ma che mirano demagogicamente a considerare il fenomeno migratorio come un’ opportunità economica per le nazioni che accolgono, ignorando completamente quali siano le cause drammatiche scatenano la crisi.

 

Crisi economica

Il terzo elemento fondamentale per comprendere la nascita dei populismi ed in particolar modo dell’euroscetticismo è rappresentato dalla crisi economica. Dallo scoppio della crisi dei subprime nel mercato immobiliare statunitense e dal conseguente fallimento della banca di investimenti Lehman Brothers, un forte periodo di recessione caratterizza ormai i paesi dell’eurozona da circa 9 anni. L’incapacità dell’Unione Europea di affrontare tale crisi, gli svantaggi per i paesi del sud Europa, derivanti dall’adozione di una moneta unica fatta ad immagine e somiglianza dell’economia tedesca ed in genere dei paesi più ricchi d’Europa, hanno portato ad un impressionante aumento della disoccupazione. La storia recente della Grecia insegna: un paese, pur di ripagare i debiti contratti da una classe dirigente scellerata con banche d’affari senza scrupoli, è stato costretto a svendere il proprio patrimonio imprenditoriale, nonché artistico e culturale. Privo di una propria sovranità monetaria, il leader di uno dei più promettenti movimenti populisti, Alexis Tsipras, ha ceduto al ricatto della troika, avallando ben 3 piani di “aiuto”, gettando il paese in una crisi ancora più profonda. Scontri di piazza, manifestazioni, aumento dell’indice di povertà assoluta e morti infantili sono ormai all’ordine del giorno, nel paese che rappresenta in pieno il fallimento dell’Europa, schiava di logiche finanziare troppo distanti dalle istanze dei cittadini. Nello spazio di insicurezza e precarietà scaturito dalla crisi economica, hanno iniziato ad emergere e prendere forza i movimenti populisti. La loro nascita trova la propria forza nella lotta. Essa può essere contro la corruzione, contro l’incapacità della classe politica di recuperare un contatto con i cittadini, contro la finanza e la burocrazia. Così nel 2009 viene fondato il Movimento 5 Stelle in Italia (ora prima forza politica del paese), nel 2012 Syriza in Grecia (attualmente al governo), nel 2014 Podemos in Spagna. E anche forze politiche già esistenti come la Lega Nord e il Front National hanno mutato la loro agenda politica, eliminando alcuni estremismi (il negazionismo per il partito francese e il nordismo per quello italiano) e concentrando la loro proposta in una lotta serrata contro la globalizzazione in favore della sovranità nazionale.

Conclusioni

Il populismo è dunque un approccio alla politica, intesa come il processo che mira ad influenzare il potere decisionale, che nasce principalmente da uno stato di crisi. In un’epoca in cui la politica non riesce a dare risposte convincenti alle principali sfide globali, in cui la sinistra attua in ambito economico scelte molto simili alla destra, la necessità dei cittadini di trovare risposte in una forza politica che si riappropri di un dialogo diretto con loro, porta all’emergere di movimenti populisti che, in maniera demagogica o meno, ergono il popolo, o una parte di esso, ad interlocutore ultimo, portando avanti proposte che oltrepassano la dicotomia classica tra destra e sinistra. In questo contesto, l’euroscetticismo si configura come una particolare forma di populismo, il cui obiettivo principale è il parziale o totale smantellamento delle istituzioni europee, a vantaggio di un popolo, che, a seconda dei movimenti, può configurarsi come il popolo europeo tutto, i cittadini delle singole nazioni, o tutti coloro i quali sono stati “vinti” dal processo di globalizzazione ed europeizzazione. L’euroscetticismo è quindi un populismo tipico della regione europea, nel quale il paradigma nazionalisti vs. globalizzazione, viene traslato secondo quello “sovranisti vs. europeisti”. Come già detto, la narrazione politica e mediatica del fenomeno populista, tende a sottolinearne unicamente le contraddizioni, confondendolo spesso con la demagogia. In realtà il populismo e quindi anche l’antieuropeismo, non sono altro che una sfida. Una sfida basata sulle gravi contraddizioni della globalizzazione, del liberismo, dell’europeismo e del sistema delle democrazie liberali. Tale sfida può essere una minaccia se lo scontro con essa continuerà ad essere esasperato. Allo stesso tempo essa potrà invece rappresentare una possibilità di miglioramento, se si guarderà ai movimenti populisti senza pregiudizio, trasformando le contestazioni, in possibilità di miglioramento di un sistema, effettivamente malato. Solo allora, quando ai movimenti populisti verranno tolte le argomentazioni, essi cesseranno di esistere, esattamente come insegna la scienza politica.

Gabriele Tusa

 

Riferimenti bibliografici

Grassi Davide (2016), Populismo in Norberto Bobbio, Nicola Matteucci, Gianfranco Pasquino, Dizionario di Politica, p. 732-737

Mudde Cas (2004), The Populist Zeitgeist, in Government and Opposition, Blackwell Publishing, Oxford, UK

Pasquino Gianfranco (2016), Deficit Democratico in Norberto Bobbio, Nicola Matteucci, Gianfranco Pasquino Dizionario di Politica, p. 232-238

Zulianello Mattia (2017), I populismi del XXI secolo in Atlante Geopolitico Treccani 2017, p. 101-112

Fonti digitali

http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2016/570421/EPRS_STU(2016)570421_EN.pdf

https://www.unhcr.it/risorse/carta-di-roma/fact-checking/gli-sbarchi-italia-nel-2016-dati-smentire-lallarmismo

http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/migrazioni-senza-soluzioni-14361

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http://www.ispionline.it/pubblicazione/disunita-nella-diversita-leuropa-alla-prova-14836

http://www.ispionline.it/pubblicazione/le-rotte-dei-migranti-13559

http://www.ispionline.it/pubblicazione/rifugiati-qualche-dato-fare-chiarezza-13527

http://www.ispionline.it/pubblicazione/emergenza-mediterraneo-e-migrazioni-come-puo-rispondere-leuropa-13136

http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/europa-crepe-ormai-alle-fondamenta-14367

 

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