#RadioAut – Usa, Cina e Pandemia: il complotto perfetto


Defeder Europe 20: perché la più vasta esercitazione militare della Nato non è la conseguenza  alla pandemia di Coronavirus. Nè lo sarà mai.

 


Diciamolo: l’essere umano contemporaneo, l’homo sapiens socialensis, adora le teorie del complotto. Dinanzi un evento terroristico, catastrofico e, ad ultimo, sanitario come la pandemia influenzale di Covid-19, partorisce le più tenere, assurde, incredibili spiegazioni complottiste che spaziano dalla geopolitica economica a quella strategica-militare, qualcosa in grado di suscitare un sottile, perverso piacere anche a Christopher Nolan. Una tra le più fresche che – quasi come un mantra – si sente da qualche settimana è che il Covid-19, la pandemia che da fine novembre ha interessato dapprima la Cina e, ad oggi, l’intera comunità globale, non sia altro che un progetto cinese da laboratorio, mirato a destabilizzare l’intera economia mondiale, col fine ultimo di potersi arricchire di più; o ancora, dietro lo sviluppo del Coronavirus ci siano gli americani e che tramite ad esso e alla sua diffusione in Cina (il primo focolaio si è registrato nella città di Wuhan) e poi nel resto del mondo (con specifico interesse per l’Italia in quanto paese con il più alto numero di contagiati e morti dopo la Cina) vorrebbero “vendicarsi” per le scelte errate dei nuovi partenariati e rotte commerciali, quale la “nuova via della seta”, tra l’Europa e il dragone orientale e, last but not least, proprio in questi concitati giorni, il buon vecchio Zio Sam avrebbe fatto d’emblée capolino  in Europa con l’invio di 27 mila truppe.

Sorvolando su eventuali congetture e spiegazioni medico-sanitarie, virologiche ed igieniste sull’origine e sviluppo del Coronavirus (non ne possiedo le facoltà) è importante focalizzarsi sui reali motivi per cui in Europa, in questi giorni, le truppe militari americane (e non solo) si siano rafforzate, soprattutto nei paesi del nord (Polonia e repubbliche baltiche) e perché la loro presenza non ha nulla a che vedere con la pandemia in corso, nè con i cinesi.

Come ogni anno (o quasi) dalla fine della Guerra Fredda, il SHAPE (Supreme Headquarters Allied Powers Europe), il comando supremo delle forze alleate della NATO di Mons, organizza esercitazioni militari su larga scala che coinvolgono tutti i paesi aderenti al Patto, più il Canada, sotto la guida e il comando degli Stati Uniti. L’obiettivo di queste esercitazioni, che vengono chiamate con titoli allettanti quali Trident Juncture, Cold Response o Defender Europe (quella attualmente in corso), è quella di calcolare il tempo necessario di schieramento e risposta delle truppe dinanzi all’escalation di tensione con la Russia. Ora, uno scontro armato diretto con la Russia è , ad oggi, assai improbabile, ma alla Nato e agli americani – è noto – piace disturbare il “can che dorme”, soprattutto quello russo che, si sa, non è di certo un Pincher o un Chihuahua. E lo hanno imparato bene nel corso della Guerra Fredda durante una delle annuali esercitazioni Able Archer, quella dell’83, quando lo SHAPE emulando un attacco nucleare su larga scala, fece dispiegare le intere forze terrestri americane ed europee lungo tutta la cortina di ferro. La reazione dei sovietici non si fece attendere e, così come accadde nel 1961, le testate nucleari vennero riposizionate verso ovest. Il mondo restò col fiato sospeso per cinque giorni; si era vicini al conflitto nucleare e non era più un esercitazione.

Nel mondo ultraliberista e ultra globalizzato però, le ideologia sono scomparse o quasi. I due blocchi non esistono più, Berlino non è più divisa in due e i russi non ipotizzano più di conquistare ed annettere in tre giorni l’intero territorio compreso tra il Reno e le coste dell’Atlantico, per diverse ragioni.

Innanzitutto l’Orso russo non detiene una forza armata globale in grado di potersi confrontare in un  scontro diretto con le armate della Nato, nell’eventualità di un conflitto in scala mondiale. Le forze armate russe sono ancora delle potenze regionali, come lo sono la Cina, l’India, l’Iran o l’Arabia Saudita. Le sue truppe pur essendo schierate in zone al di fuori del loro “vicino estero”- o per citare Mackinder, il “Pivot”- come in Siria (il conflitto turco-russo di Idlib) o in Libia, non posseggono un’armata navale o aerea in grado di dispiegarsi con rapidità in qualunque zona di crisi del globo, mentre la Nato ha i Rapid Deployable Corps.

Il Putinismo poi porta con se ancora il fardello delle due Guerre di contenimento in Cecenia che, oltre ai quasi 250 mila morti, hanno reso il Caucaso settentrionale una polveriera, l’invasione della Georgia e la successiva guerra in Ossezia del sud dell’estate 2008, fino alla secessione della Crimea dall’Ucraina del 2014 e la guerra del Donbass, ancora in corso. Tuttavia, ovviamente, non bisogna trascurare il peso militare che i russi, a discapito dell’occidente e della sua credibilità strategica, hanno guadagnato nel già citato calderone siriano, in quanto fedelissimi alleati di Bashar-Al Asad e, a partire dalla Conferenza di Palermo del 2018, anche nella ex Giamahriha libica, andando così a sostituire la quasi inesistente presenza militare americana nel mediterraneo meridionale ed orientale.

Le notti degli strateghi oltreoceano e in Europa però vengono continuamente disturbate dalle paure che, un domani, le repubbliche baltiche in primis, ma anche l’Ucraina, la Moldavia e la Georgia, possano un domani ritornare nel grembo della Madre Russia, sia tramite voto popolare (il 25% della popolazione lettone è di origine russa), sia tramite invasione coatta dei territori a maggioranza russa, attigui ad essa, così come avvenuto in Crimea o nel Donbass.

Ecco come una “nuova cortina di ferro” è calata in Europa. Una cortina che non separa più la Germania in due o l’intera Europa,  ma che spostandosi agli estremi confini orientali europei, ha inglobato tutti gli ex paesi del Patto di Varsavia ed oggi membri UE, con un “cordone sanitario” di novecentesca memoria che da Kirkenes, in Norvegia giunge fino al porto di Odessa. Questo implica l’aumento esponenziale della presenza militare americana in Europa. Una presenza con cui si è imparato a convivere fin dal 1946 e che ad oggi conta circa 70 mila truppe dislocate in tutti i paesi alleati, con una massiccia presenza in Germania (a Stoccarda è dislocato il comando supremo delle forze armate americane in Europa, EUCOM ndr.) e in Italia (a Napoli, sede ha sede la VI Flotta) e che, volenti o nolenti, è andata a sostituire ed uniformare il sogno infranto di una Comunità europea di difesa, quella CED tanto sperata e a cui, ancora oggi, si spera ancora. L’anello mancante (e mancato) per una reale Unione Europea.

Emanuele Pipitone

 

 

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