Bivio israeliano


Il 17 settembre scorso, di nuovo dopo sei mesi, il popolo israeliano è stato richiamato alle urne con un esito: nessuno. In una crisi politica senza precedenti, il Dott. Enrico Campelli, ricercatore presso la facoltà di Scienze politiche alla Sapienza ci illustra l’incerto scenario politico israeliano, tra possibili governi di larghe intese e accuse di corruzione.


– Dottore, a distanza di sei mesi, Israele si è ritrovata ad affrontare nuove elezioni. Come è cambiata in questo periodo la situazione politica nel paese?

Se è vero che non è cambiata da un punto di vista delle ideologie o dei grandi schieramenti, dall’altra parte è cambiata moltissimo da un punto di vista partitico. In controtendenza da quella che è la tradizione giuridica israeliana, che prevede una molteplicità ed eterogeneità di partiti estrema e selvaggia, negli ultimi sei mesi si assistito all’effetto opposto, ovvero la riduzione del numero dei partiti e – nello specifico – delle coalizioni principali: il Likud. Il partito di Netanyahu ha assorbito Kulanu, il partito di centrodestra che precedentemente fuoriuscito dal Likud, e adesso vi è ritornato. Precedentemente alla data delle elezioni di aprile, HaBayit HaYehudi(la Casa ebraica ndr.) aveva avuto una scissione e i suoi due leader Bennet e Shaked avevano fondato un nuovo partito: la Nuova destra; con la speranza di allargare la propria influenza anche ad un elettorato non religioso. Questo progetto però è fallito, non superando, in aprile, la soglia di sbarramento del 3,25%. Adesso questi due partiti, più Tkuma, un partito di estrema destra, si sono uniti in una coalizione chiamata Yamina, che ha preso 7, un risultato medio, che ha avuto però. al suo interno, forti contestazioni per la dirigenza affidata ad Ayelet Shaked. La parte opposta dello spettro politico, HaAvodah, i laburisti si sono messi in coalizione con Gesher,un partito di difficile collocazione, il cui programma si incentra specialmente su questioni socioeconomiche ma che, al suo interno, vede personalità provenienti da ambienti di destra. Mentre Meretzsi è associata al nuovissimo partito di Barak Ysrael Demokratit, e ad alcuni fuoriusciti laburisti, formando l’Unione democratica. Questi ultimi hanno ottenuto 5 seggi, un risultato, secondo me, piuttosto negativo.

Secondo gli ultimi sondaggi, il Likud ha avuto una percentuale superiore rispetto ad aprile che era al 26,7%, e adesso si attesta al 28%, ma al tempo stesso ha perso tre seggi, passando da 35 di aprile a 31 di adesso, mentre  il partito Blu-bianco di Gantz ne ha guadagnati due ma con una identica percentuale. Come si spiega?

Si spiega con il cambiamento dell’affluenza di elettori che sono andati a votare. Queste elezioni hanno visto una accresciuta presenza di elettori arabi. Ovviamente questo ha significato un limite per quanto riguarda Netanyahu.

Gli elettori arabi appoggiano laJoint List; partito che però non rientra nel programma di un’alleanza per la formazione di un governo. Quali mosse potrebbe compiere il fronte arabo?

Esatto. La Joint Listnon si è mai alleata ne è mai entrata in alcuna coalizione e non ha mai neanche raccomandato un primo ministro al Presidente della Repubblica (ciò è avvenuto solo una volta, nel 1992, quando supportarono Rabin ndr.) Questa però potrebbe essere la volta buona in cui, forse, potrebbe limitarsi a raccomandare Gantz a Rivlin ma non è nel piano di nessuno, ne per gli arabi, ne per gli ebrei vedersi associare Gantz al fronte arabo. Del resto, per tutta la campagna elettorale la retorica di Netanyahu è stata: “ci sono solo due opzioni: o me o Gantz con gli arabi. Gantz, l’ultima cosa che vuole è proprio ritrovarsi ad essere appoggiato dagli arabi, come più o meno tutti i partiti sionisti d’Israele. Forse, l’unica fazione che potrebbe non escludere a priori questo, è l’Unione democratica, che è la falange più a sinistra del fronte ebraico-sionista. Ma in questo momento è molto prematuro pensare ad una reale cooperazione tra la Joint Liste i partiti laici.

– Questo è dovuto anche alle provocazioni avanzate da Netanyahu di annettere completamente la Cisgiordania.

Assolutamente si. Questo, a posteriori, ha probabilmente avuto un duplice effetto positivo: da un lato ha certamente giocato a favore della Joint Listche ha visto un aumento dell’elettorato arabo al voto; dall’altro il Likudha sottratto voti a Otzma Yehudit, il partito più estremo a destra, a cui la Corte suprema proibì la partecipazione alle elezioni di aprile poiché esplicitamente xenofoba e razzista. Tuttavia questa volta è riuscita a partecipare alle elezioni, pur non superando la soglia di sbarramento, e quindi i voti sono andati persi. Per questo motivo le dichiarazioni di Netanyahu sulla West Bank erano mirate proprio all’ottenimento di quei voti li.

In questo stallo politico si parla spesso di Avigdor Lieberman per la formazione di un esecutivo. Ma chi è Lieberman e a che gioco sta giocando?

La domanda è difficile. Lieberman e Netanyahu non si sono mai piaciuti. Non hanno reciproche simpatie, ma in queste circostanze non è più una questione di simpatie personali. Lieberman, che è un politico di lungo corso, un vero falco della politica israeliana ha capito che è arrivato il tempo di colpire Netanyahu per due ragioni: la prima è l’ontologica debolezza di un candidato che ad ottobre verrà sicuramente condannato dalla Corte suprema per abuso di ufficio, corruzione e frode; l’altra, probabilmente conseguente alla prima, è che in questo specifico momento storico istituzionale israeliano, Netanyahu ha bisogno più che mai dei partiti religiosi. Lieberman ha capito che è questo il momento giusto per impadronirsi della retorica politica della destra laica; una destra di cui Netanyahu invece non è più portatore, fautore e bandiera. Un calcolatore dunque che è riuscito ad accrescere i numeri di seggi alla Knesset, passando da 5 di aprile a 8,9 di adesso, raddoppiando il proprio bacino, proprio perché è riuscito ad imporsi come la parte di destra non asservita agliHaredim, gli ultraortodossi. Lui non ha mai fatto mistero sul fatto di spingere alla formazione di una larga coalizione che escluda, per la prima volta, gli ultraortodossi e che sia formata da Gantz, Netanyahu e lui. Un fronte dichiaratamente di centrodestra ma non religioso. E quindi un governo che potrebbe essere libero di mandare avanti la legislazione che vuole il reclutamento degli ultraortodossi. Credo che questa sia la chiave di interpretazione delle politiche di Lieberman.

– In tutta questa incertezza, che ruolo gioca il presidente Rivlin, il quale – oltretutto – si ritroverà a dover dare una risposta all’elettorato israeliano il prossimo 25 settembre?

E’ veramente difficile prevedere quello che farà Rivlin perché. a parer mio, è schiacciato da diverse “pulsioni”. Rivlin è un Likudnik, esponente di un vecchio Likud; un Likud che non è più l’attuale partito di destra e che ha attraversato diversi cambiamenti. All’epoca di Rivlin esso non era un partito così ad personamcome quello attuale di Netanyahu. Rivlin è un liberale di vecchie posizioni garantiste, non radicali ma di una destra sicuramente più liberale di quella attuale; diciamo che non nutre molte simpatie verso il primo ministro e la sua priorità è sicuramente quella di scongiurare una nuova e terza elezione per il paese nell’arco di un anno. Per cui credo che Rivlin spingerà per la formazione di un governo di larghe intese, affinché duri almeno un anno e mezzo. E’ chiaro che il sistema israeliano è volatile, incendiario ed è altrettanto chiaro che, qualunque sarà l’assetto del Governo, non durerà quattro anni, come del resto succede sempre in Israele.

Un ultima domanda, ad ottobre come già detto, Netanyahu verrà sicuramente accusato per i reati di frode e corruzione. Cosa potrebbe accadere?

In Israele non esiste una disposizione giuridica legale che obblighi il primo ministro a dimettersi, però è altrettanto vero che sarebbe molto difficile per Netanyahu portare avanti una nuova campagna elettorale da inquisito per reati gravissimi. D’altra parte però la possibilità di formazione di una maggioranza di governo senza Netanyahu potrebbe segnare uno stepverso la riuscita di una coalizione elettorale. Bibiè diventato il più longevo primo ministro della storia di Israele, però come diceva il quotidianoHaaretz, siamo arrivati (forse) al termine della corsa di Netanyahu. Bisogna capire adesso come riempire il vuoto che lascerà; un vuoto che non sarà immediato, perche per adesso è ancora il leader incontrastato del partito, ma che nel caso di una nuova elezione sarebbe praticamente impossibile per lui vincere.

Roma, 19-9-2019

Emanuele Pipitone

 

 

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