Ucraina: dall’indipendenza alle presidenziali del 2019


 


 

Fin dall’indipendenza l’Ucraina è stata caratterizzata da una alternanza politica tra filo-russi e filo-occidentali. Questa alternanza è stata il risultato di una forte spinta dal basso, determinata dall’opinione pubblica.

 Il 24 agosto 1991 l’Ucraina proclamò l’indipendenza, passando da “membro della famiglia delle nazioni sovietiche” a stato sovrano e iniziando un lungo, e non privo di intoppi, cammino verso la democrazia.

Un referendum e la prima elezione parlamentare ebbero luogo il 1º dicembre 1991. Quel giorno, più del 90% dell’elettorato espresse il proprio consenso all’Atto d’Indipendenza, e venne eletto come Presidente del Parlamento Leonid Kravchuk.

In seguito ad un periodo di crisi economica che attraversò il paese, nel 1994, Kravchuk fu sconfitto da Leonid Kuchma, riformatore filo-russo. Fu rieletto, una seconda volta, nel 1999 con l’appoggio degli oligarchici.

Nonostante avesse ottenuto una seconda elezione, i rapporti con l’Unione Europea e gli Stati Uniti si andavano sgretolando e ciò ha portato forti dissensi all’interno dell’opinione pubblica. La storia politica dell’Ucraina, come è noto, è stata sempre caratterizzata da movimenti di protesta all’interno della popolazione.

La prima storica spinta dal basso avvenne nel 2004 con la Rivoluzione arancione.

A seguito di alcuni eclatanti sospetti di brogli elettorali, il popolo decise di scendere in piazza e la Corte Suprema Ucraina invalidò il risultato, che vedeva Viktor Janukovych (sostenuto da Leonid Kuchma, Presidente uscente) in vantaggio. Al successivo ballottaggio venne eletto, con più del 50% dei voti, Juščenko, che sconfisse Janukovych.

Dal 2005 al 2010, Juščenko fu Presidente della Repubblica, ed in quegli anni Julija Tymošenko, precisamente dal 2007 al 2010, fu primo ministro, nonché prima donna a ricoprire questa carica in Ucraina.

In quegli anni, l’Ucraina si avvicinò molto all’Occidente, preoccupando sempre di più Mosca. Nel 2008, infatti, la nuova dirigenza ucraina preferì un accordo di associazione con l’Unione Europea a quello offerto da Putin ad alcune ex repubbliche dell’Unione Sovietica. La reazione della Russia fu immediata.

Il Presidente Putin, infatti, era convinto che il possibile accordo con l’Europa fosse il preludio per una futura intesa con la NATO. L’Ucraina risultava così essere una potenziale minaccia per un avanzamento dell’Alleanza Atlantica verso i confini occidentali[1].

Nel 2010 fu eletto Presidente della Repubblica ucraina, V. Janukovich, il quale sconfisse Julija. La Corte Suprema dell’Ucraina la condannò a sette anni di reclusione per abuso d’ufficio. A favore dell’ex Primo Ministro ucraino è arrivata la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che il 29 aprile 2013 ha decretato “illegale” la detenzione di Tymošenko.

Nonostante l’Ucraina, come altri ex paesi federati dell’Unione Sovietica, sia rimasta per alcuni aspetti ancora dipendente dalla Russia, nei più recenti anni ha manifestato un palese distacco da quest’ultima. Ciò è avvenuto in concomitanza con il proliferarsi, in tutto il paese, di movimenti di rivolta di stampo filo-occidentale. A questi si sono aggiunti conseguenti scontri fra i manifestanti e l’unità di polizia speciale Berkut, istituita nell’era Janukovyč, che hanno portato il 22 febbraio 2014 alla fuga del presidente filo-russo.

Dopo questo episodio il Parlamento si riunì con urgenza in seduta plenaria, e fu eletto Oleksandr Turčynov quale nuovo Presidente, che da subito ha ricoperto anche la carica di premier ad interim. Nella stessa giornata avvenne la scarcerazione di Julija Tymošenko. Dopo qualche giorno, fu formato il nuovo governo dell’Ucraina, con Arsenij Jacenjuk in qualità di Primo Ministro.

Il governo Jacenjuk ha gestito le successive elezioni presidenziali che, tra il 25 maggio 2014 (1º turno) ed il 15 giugno (2º turno), hanno condotto Petro Porošenko a divenire il nuovo presidente dell’Ucraina.

“Un nuovo modo di vivere” è lo slogan adottato da Poroṧenko per una campagna elettorale fondata essenzialmente su due temi: la scelta di campo europeista e la lotta alla corruzione.

Il 27 giugno 2014 il presidente ucraino Petro Porošenko ha firmato a Bruxelles l’Accordo di associazione tra l’Ucraina e l’UE.

L’incidente dello stretto di Kurch, l’annessione della Crimea e l’occupazione del Donbas hanno trasformato il voto del 2014 in una sorta di scommessa su quale leader avrebbe meglio difeso l’Ucraina dalle tensioni con la Russia[2].

Il 31 Marzo i cittadini Ucraini saranno chiamati a votare per le elezioni Presidenziali. Fra i favoriti, secondo i sondaggi, risultano: Poroshenko, Timoschenko e il comico Zelensky.

Al momento Zelensky[3]è dato al 15,4 per cento, con uno scarto di pochi punti rispetto al presidente uscente Petro Poroshenko, fermo al 10,5 per cento – e dalla leader dell’opposizione Yulia Tymoshenko – che si attesta all’8 per cento. In tutto, i candidati alla presidenza sono 44: se nessuno di loro avrà la maggioranza assoluta al primo turno, i primi due candidati si affronteranno in un ballottaggio il 21 aprile”[4].

A distanza di cinque anni la situazione è mutata nuovamente. I movimenti populisti e filorussi stanno strumentalizzando il generale distacco e scetticismo verso la politica creando un clima di estrema incertezza sull’esito finale del voto. Evidentemente il futuro presidente dell’Ucraina uscirà dal ballottaggio del 21 aprile e non al primo turno del 31 Marzo.  Inoltre il 12% della popolazione, quella di Donbass e Crimea, non parteciperà al voto.

 

Giulia Montalto, Virginia Zappalà, Francesco Monterosso, Marco Benigno

 

 

[1]Cfr.www.ispionline.it

[2]Cfr.www.ilpost.it

[3]Oltretutto il 41enne Zelenskyj si rivolge ad un’ampia fetta di elettorato grazie a proposte come la risoluzione delle tensioni con la Russia con un accordo che soddisfi entrambe le parti oppure grazie al fatto che non si limita a parlare ucraino ma nei suoi messaggi usa anche il russo.” Cfr.www.atlanticoquotidiano.it

[4]www.stradeonline.it

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