RECENSIONI: “Se Washington perde il controllo”, di Roberto Iannuzzi


R. Iannuzzi, Se Washington perde il controllo. Crisi dell’unipolarismo americano in Medio Oriente e nel mondo, Roma, Castelvecchi, 2017, 236 pp.

Roberto Iannuzzi (analista geopolitico, ricercatore presso l’Unimed) analizza in poco più di 200 pagine diversi scenari globali alla luce della crisi dell’unipolarismo statunitense: il principale filo conduttore sono gli eventi mediorientali ma è inevitabile che vengano analizzate anche le relazioni tra Usa e Cina – a cui è dedicato interamente il capitolo quarto –  in un mondo in profondo cambiamento in cui si profila un nascente multipolarismo. Il lavoro di Iannuzzi è equilibrato, ben documentato e l’autore non rinuncia a mettere in rilievo responsabilità e cause dei conflitti, andando spesso contro una certa percezione mainstream degli eventi internazionali, almeno qua in Occidente. Le librerie italiane traboccano di libri (alcuni certamente interessanti ma molti di scarsa utilità, dai fini esclusivamente commerciali) sul terrorismo e sull’Isis che, anche quando non forniscono una ricostruzione inconsistente, presentano spesso analisi eccessivamente circoscritte che non consentono di cogliere la complessità e la dimensione regionale (dai risvolti globali) delle vicende mediorientali; il lavoro di Iannuzzi affronta le vicende mediorientali in una prospettiva globale, analizzando gli eventi internazionali nelle loro reciproche interazioni ed in riferimento alla progressiva crisi dell’egemonia globale statunitense. E’ d’altra parte impossibile comprendere le attuali vicende siro-irachene o ucraine se non si affrontano le politiche statunitensi almeno dalla fine della guerra fredda in avanti, analizzando le reazioni della declinante superpotenza egemone statunitense alle diverse crisi o sfide globali.

L’analisi di Iannuzzi parte proprio dal trionfo statunitense nel 1989 che ha inaugurato la stagione unipolare (messa però  in crisi già negli anni di Bush junior): “con Bill Clinton e con il suo successore George W. Bush l’establishment americano decise, in maniera bipartisan, di trasformare la temporanea supremazia dell’America in un’egemonia globale di lunga durata”, scrive Iannuzzi facendo riferimento ad un lavoro di Michael Lind (p. 20): si pensi alla politica del “doppio contenimento” in relazione a Iran ed Iraq, all’espansione della Nato ad Est, alla progressiva infiltrazione della Nato in Asia Centrale ed in generale alle aggressive politiche unilaterali in Medio Oriente. L’autore affronta inoltre in modo puntuale e documentato il ruolo dei neocon nel dibattito interno sulla politica estera nel corso degli anni novanta. Mentre si dà avvio alle catastrofiche scelte di politica estera (come l’invasione dell’Iraq, “avamposto per l’esportazione della democrazia occidentale in Medio Oriente”, che pose le basi per lo scoppio del conflitto settario), si assiste contemporaneamente all’“esplosione della globalizzazione” neoliberista di matrice statunitense (le politiche neoliberiste si diffusero già a partire dagli anni ’70). Iannuzzi mette in luce le conseguenze della guerra in Iraq, il controverso rapporto degli Stati Uniti con l’alleato pakistano e gli irrisolti problemi afghani che anche Obama ha lasciato in eredità al suo successore.

Obama ha tentato di arginare il declino statunitense, spostando il baricentro della proiezione militare nel Pacifico in ottica anticinese; tuttavia gli eventi che hanno caratterizzato il mondo arabo nel 2011 hanno evidenziato la crisi del modello di ordine globale plasmato da Washington e d’altra parte, come sottolinea opportunamente Iannuzzi, Obama non è stato capace di concepire una visione realmente alternativa a quella dell’amministrazione precedente: “solo l’approccio tattico è cambiato” (p. 12), “in armonia con una visione unipolare solo superficialmente mitigata da un multilateralismo di facciata” (p. 188): si pensi all’intervento statunitense in Libia (con un ruolo preminente di Hillary Clinton), all’intervento indiretto in Siria, trasformata in un “santuario jihadista”, e alla crisi ucraina.

In Medio Oriente il retaggio coloniale ha plasmato profondamente la regione e, scrive opportunamente Iannuzzi, “la fase della decolonizzazione non si era mai realmente conclusa. Anzi, tale retaggio si era spesso rinnovato attraverso il consolidamento di una forma di egemonia neocoloniale incentrata sull’asservimento economico” (p. 71). L’autore fa emergere le responsabilità occidentali nell’escalation del conflitto siriano: “In pratica, invece di fornire direttamente armi all’insurrezione, l’amministrazione Obama decise di agire tramite «agenti regionali». Erano i suddetti paesi a procurare il materiale bellico, che veniva inviato in Siria sotto il coordinamento e la supervisione americana” (p. 86). Iannuzzi mette inoltre in luce come a partire dal 2014-2015 si sia registrato un ulteriore spostamento di equilibri in favore di gruppi salafiti e jihadisti nelle file dei rivoltosi. Viene messa inoltre molto accuratamente in rilievo la dimensione regionale del conflitto siriano, in particolare in riferimento all’iperattivismo saudita, qatarino e turco: “fin dall’autunno del 2012 l’intelligence americana era consapevole di questa situazione, eppure non terminò né modificò il proprio ruolo volto a facilitare l’invio di armi in Siria. Né Washington mutò i rapporti con i propri alleati regionali” (p. 120). Iannuzzi tratta inoltre l’accordo sul nucleare iraniano, inserendolo all’interno della più ampia strategia di offshore balancing degli Stati Uniti.

Il conflitto siriano ha esacerbato anche le tensioni tra Stati Uniti e Russia che sono esplose tra il 2013 e il 2014 in Ucraina. Iannuzzi mette in luce la dimensione strategica di “paese storicamente conteso” dell’Ucraina e sottolinea il fatto che la crisi ucraina e le sue ripercussioni internazionali derivano ab origine dalla soluzione «asimmetrica» che pose fine alla guerra fredda, lasciando ai margini la Russia ed impedendone de facto una ragionevole integrazione europea. Vengono affrontati anche i rapporti transatlantici alla luce del mutamento degli equilibri globali e la crisi ucraina viene contestualizzata nel quadro delle politiche di contenimento antirusso: lo scoppio della crisi ucraina ed il ruolo attivo di Washington si spiegano con l’interesse degli Usa di separare l’Europa dalla Russia (spalleggiati in particolare da Gran Bretagna e paesi dell’Est Europa); le sanzioni economiche sono una manifestazione della strategia degli Usa finalizzata a contrastare i loro avversari a livello globale, sfruttando la rilevanza del dollaro e la “propria posizione privilegiata al vertice della piramide finanziata mondiale” (p. 167). L’attivismo politico-diplomatico della Cina e il suo progetto di integrazione eurasiatica rappresentano dunque “un sintomo della crisi di leadership che gli Stati Uniti stavano sperimentando a livello globale” e Iannuzzi sottolinea opportunamente che la crisi ucraina ha avuto “l’effetto indesiderato” di determinare un riavvicinamento tra Mosca e Pechino. Nell’ultima parte del libro l’autore analizza alcuni aspetti dell’elezione di Donald Trump, mettendo in luce le contraddizioni della sua amministrazione (il libro è andato in stampa ad aprile), evidenziando la “strana miscela di isolazionismo e unilateralismo militarista”.

Il libro di Iannuzzi, ben documentato e di lettura scorrevole, offre spunti di riflessione sia al lettore esperto, sia a chi si approccia alla lettura del testo per avere un quadro della geopolitica globale. A parecchi mesi di distanza dall’insediamento di Trump, possiamo constatare come gli aspetti aggressivi di derivazione neocon  in politica estera abbiano prevalso sulla retorica isolazionista: la crisi coreana e i critici rapporti con l’Iran (che mettono in discussione uno tra i pochi successi dell’amministrazione Obama) rendono ineludibile una seria riflessione sulle possibili risposte statunitensi alla progressiva crisi di leadership globale, dagli esiti imprevedibili.

Federico La Mattina

@FedLaMattina (Twitter)

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