Ancora Contrada, ancora tormenti!


In foto: Bruno Contrada, ex poliziotto con alte cariche dirigenziali, associato a legami tra stato e mafia, nel contesto dei fatti che portarono alla strage di via D’Amelio


Ancora non si conoscono le motivazioni con cui la Cassazione ha reso ineseguibile e priva di effetti penali la sentenza di condanna per concorso esterno a Bruno Contrada, adeguandosi in tal modo alla sentenza della Corte Edu del 14 aprile 2015 sul ricorso Contrada vs. Italia, che giornalisti, politici ed anche studiosi, hanno voluto subito incensare la figura dell’ex agente dei servizi segreti, come se la Corte Edu prima e la Cassazione dopo lo avessero assolto.

Fare passar questo messaggio errato, vuol dire o non conoscere l’iter processuale interno ed europeo di Contrada o, peggio ancora, essere in mala fede.

In assenza del deposito delle motivazioni, occorre essere molto prudenti, poiché non conosciamo quale è stato l’iter logico-giuridico seguito dalla Suprema Corte né in che misura e con quali ulteriori effetti, anche extra partes, la sentenza della Corte Edu è stata resa esecutiva.

Nell’attesa di ciò, possiamo solo ripercorrere l’iter processuale di Contrada innanzi alla Corte Edu e i successivi sviluppi in Italia.

Partiamo, allora, da un dato certo: la sentenza Contrada vs. Italia della Corte EDU del 2015 ha statuito che il concorso esterno in associazione mafiosa è “frutto di una complessa evoluzione giurisprudenziale posteriore all’epoca dei fatti”, e ha espresso “il pacifico riconoscimento delle parti del concorso esterno in associazione mafiosa quale figura criminosa di origine giurisprudenziale“.

Nel caso di specie, dunque, senza entrare nel merito della condotta delittuosa posta in essere ed accertata con sentenza definitiva di condanna, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che Bruno Contrada, l’ex agente dei servizi segreti accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, non doveva essere condannato, perché all’epoca delle condotte addebitate il reato non era sufficientemente chiaro e di conseguenza, hanno affermato che sussiste violazione dell’art.7 CEDU ( nullum crimen sine lege e nulla poena sine lege) e del principio di irretroattività della legge penale nell’ipotesi di condanna per concorso esterno in associazione di tipo mafioso in relazione a fatti commessi dal 1978 al 1988: in tale epoca, infatti, vi era contrasto giurisprudenziale sulla configurabilità del reato de quo, superato solo con la decisione delle Sezioni Unite 5 ottobre 1994, n. 16/1995, meglio nota come sentenza Demitry ( Cass., S.U., 5/10/1994, n. 16,, in Foro it., 1995, II, 422.), che ne ha affermato la possibilità giuridica, specificandone i caratteri e rendendo dunque prevedibili le conseguenze.

Come si può facilmente notare, dunque, la Corte Europea non ha né dichiarato inesistente il concorso esterno in associazione mafiosa né soprattutto che Contrada non lo abbia commesso. E questo è un dato indubbiamente rilevante!

La Corte, invece, nel richiamarsi al suo consolidato orientamento giurispudenziale, sintetizzato nella nota sentenza Del Rio Prada c. Spagna, ripropone ed esalta il cd. principio della prevedibilità della condotta illecita quale corollario imprescindibile del principio di legalità e riassumibile, in buona sostanza, nel fatto che nessuno può essere punito se al momento in cui ha commesso il fatto non esisteva una norma incriminatrice chiara e conoscibili in tutti i suoi elementi.

Il punto dolente e criticabile di questa sentenza, a mio avviso, sta appunto nell’avere qualificato il concorso esterno in associazione mafiosa come un reato di matrice giurisprudenziale.

La Corte Edu perviene a tale conclusione richiamandosi a diverse sue pronuncie ( Ex plurimis, Corte Edu: S.W c. Regno Unito 22 Novembre 1995; Kruslin c. Francia, 24 Aprile 1990; Cantoni c. Francia, 15 Novembre 1996; Kokkinakis c. Grecia, 25 Maggio 1993. ), in cui emerge che il richiamo al “diritto” operato dal citato articolo 7 non può essere limitato alla sola fonte legislativa, cioè la norma in senso stretto, ma deve essere esteso anche alla fonte giurisprudenziale: ebbene, a mio avviso, questo indirizzo interpretativo elaborato dalla Corte – da taluno definito “antiformalistico” – ossia intendere il diritto sia come norma che come giurisprudenza, ovviamente ha ragion d’essere negli ordinamenti di common law, tra cui quello inglese e statunitense, dove è radicata l’esperienza della judicial law e dove vige il principio del “precedente” noto come principio dello stare decisis; di contro, negli ordinamenti di civil law, tra cui il nostro, dove il precedente giurisprudenziale non ha efficacia vincolante ma esclusivamente “ persuasiva”, la possibilità che un reato trovi la propria base giuridica fondante nelle sentenze e non nella legge non esiste ( è fin troppo noto il principio di legalità, posto, in via generale, dall’art. 1 del cp a mente del quale: “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto dalla legge come reato, nè con pene che non siano da essa stabilite” e dall’art. 25 Cost secondo cui: “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso“).

Ed è sul solco di questa impostazione interpretativa “estensiva” e molto diversa da quella interna italiana del principio di legalità, dunque, che si viene a collocare la sentenza Contrada del 2015, in cui si afferma che, essendo il reato di cui agli artt. 110 – 416 bis c.p. il risultato di una evoluzione giurisprudenziale iniziata verso la fine degli anni 80 e consolidatasi nel 1994 con la sentenza Demitry, “ all’epoca in cui sono stati commessi i fatti ascritti al ricorrente ( 1979-1988) il reato in questione non era sufficientemente chiaro e prevedibile e il ricorrente non poteva dunque conoscere nella fattispecie la pena in cui incorreva per la responsabilità penale derivante dagli atti da lui compiuti”.

Quali sono stati gli effetti della sentenza Contrada vs. Italia nel nostro ordinamento, ad opera dei giudici sia di merito che di legittimità.

Ebbene, sia la giurisprudenza di merito sia soprattutto la giurisprudenza di legittimità hanno mostrato nei confronti della sentenza Contrada un atteggiamento non soltanto critico ma addirittura di aperta inosservanza.

Basti ricordare, in tal senso, che la Corte d’Appello di Caltanissetta, con sentenza n. 924/2015 ( Corte di Appello di Caltanissetta, sent. n. 924/15, depositata il 17 marzo 2016 in www.dirittopenalecontemporaneo.it , con commento di F. Viganò, Il caso Contrada e i tormenti dei giudici italiani: sulle prime ricadute interne di una scomoda sentenza della Corte Edu, 26 Aprile 2016) del 17 marzo 2016 ha rigettato l’istanza di revisione del processo proposta da Contrada e tale rigetto è stato confermato dalla Suprema Corte di Cassazione il 17 ottobre 2016 ( Cass. Pen., Sez. II, sent. n. 43886 del 6 luglio 2016, depositata il 17 ottobre 2016); ed ancora, la Corte di Appello di Palermo, con una ordinanza dell’11 ottobre 2016 ( Corte di Appello di Palermo, ord. n. 466, depositata il 24 ottobre 2016 in www.dirittopenalecontemporaneo.it , con commento di S. Bernardi, Continuano i “tormenti” dei giudici italiani sul Caso Contrada: la Corte d’Appello di Palermo dichiara inammissibile l’incidente d’esecuzione proposto in attuazione del “giudicato europeo”, 24 Gennaio 2017), ha dichiarato inammissibile la richiesta di revoca ex art. 673 c.p.p. avanzata sempre da Contrada ed avente ad oggetto la sentenza di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa; infine, la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 3080/16 dell’11 ottobre 2016, ha rigettato il ricorso proposto da Marcello Dell’Utri avverso l’ordinanza con la quale, in data 18 novembre 2015, la Corte di Appello di Palermo ha dichiarato inammissibile l’istanza con la quale si chiedeva la revoca della sentenza di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa in guisa dell’art. 46 della Convenzione Edu per conformarsi alla sentenza Contrada.

In buona sostanza, nelle cennate pronunce, sia i giudici di merito che la Suprema Corte di Cassazione contestano la circostanza, sancita dalla Corte Edu nella sentenza Contrada, che il concorso esterno in associazione mafiosa costituisca un reato di “ origine giurisprudenziale”, atteso che, come peraltro chiarito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 48 del 25 Febbraio 2015, lo stesso invece costituisce una fattispecie criminosa derivante dalla combinazione tra la norma incriminatrice di cui all’art. 416 bis c.p. e la disposizione generale in tema di concorso eventuale nel reato di cui all’art. 110 c.p.

Ma il punto cruciale, a mio avviso, più importante è il richiamo, operato dalla sentenza della Suprema Corte di Cassazione in sede di rigetto del ricorso Dell’Utri, alla efficacia vincolante della sentenza Contrada, atteso che la stessa non ha ancora prodotto un indirizzo giurisprudenziale consolidato. A tal fine, gli ermellini si richiamano alla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 49 del 2015, in cui si afferma che “ solo un “diritto consolidato”, generato dalla giurisprudenza europea, che il giudice interno è tenuto a porre a fondamento del proprio processo interpretativo, mentre nessun obbligo esiste in tal senso, a fronte di pronunce che non siano espressive di un orientamento oramai divenuto definitivo”.

Ed è proprio in ragione di questo orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione che sono ancora più curioso di leggere le motivazioni con le quali, invece, non più tardi di una settimana fa, sempre gli ermellini hanno invece accolto il ricorso di Contrada contro il rigetto dell’incidente di esecuzione promosso innanzi alla Corte di Appello di Palermo ed hanno dunque statuito la inefficacia penale e la ineseguibilità dell’originaria sentenza di condanna a 10 anni di carcere, tutti scontati.

Curiosità che, in ogni caso, mi è mitigata dalla piena consapevolezza ed assoluta convinzione che, in ogni caso, né Strasburgo né la Suprema Corte di Cassazione hanno assolto Contrada.

Dott. Rosario Fiore

Cultore di Diritto Internazionale
Dipartimento di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali
Università degli Studi di Palermo.

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