Il connubio tra waqf e società islamica: il ruolo delle fondazioni pie



Dopo aver affrontato il tema dell’elemosina rituale e della sua funzione economica e sociale all’interno dell’umma, la terza tappa del percorso di approfondimento sulla finanza islamica conduce obbligatoriamente ad analizzare e ad osservare più da vicino un altro fondamentale aspetto che riguarda la redistribuzione della ricchezza all’interno della società: il waqf. 

In primo luogo, cominciando dall’analisi semantica, tale lemma deriva dalla parola araba waqafa, il cui significato tradotto risiede nella parola “immobilizzazione”. Il waqf può essere considerato come una vera e propria fondazione pia che ha il compito di raccogliere immobili, beni e denaro donati dai soggetti più abbienti mossi dall’obiettivo specifico di compiere degli atti di carità verso il prossimo più debole, così come indicano i versetti coranici. 

Affinché sia possibile effettuare tale lascito, il donatore deve rispettare una serie di regole giuridiche. In primo luogo, il benefattore deve possedere la piena operatività giuridica e l’assoluta proprietà del bene. In secondo luogo, una volta stipulato il contratto di cessione del bene pubblicamente e in presenza di diversi testimoni, esso non può essere più annullato e il bene viene utilizzato per adempiere allo scopo individuato. Inoltre, il cedente ha la facoltà di poter individuare dei curatori che hanno il compito di gestire ed amministrare la fondazione per aumentarne il grado di efficacia ed efficienza. 

La popolarità di questo sistema di fondazioni fu nota soprattutto nei secoli precedenti all’affermazione dell’Impero ottomano e  – non esistendo uno stato centralizzato che raccogliesse i tributi per offrire alla comunità determinati servizi – spesso era proprio attraverso queste specifiche fondazioni che era possibile accumulare le risorse necessarie per garantire tutta una serie di pubblici servizi. Fra i vari esempi che possono essere enumerati vi sono: la necessità di garantire il regolare funzionamento delle mense pubbliche, degli ospedali, delle biblioteche e l’incardinare la progettazione di nuove opere pubbliche, come la costruzione di fontane, di moschee o di nuove madrase (scuole giuridiche). 

Coadiuvati dal qadi, ovvero un giudice locale con ampie funzioni amministrative, simili a quelle di un sindaco odierno, i waqf raccoglievano non solo le grandi donazioni dei confratelli più facoltosi, ma anche e soprattutto la zakāt, l’elemosina rituale obbligatoria con un’aliquota del 2,5% da pagare annualmente. Inoltre, per garantire la sopravvivenza economica di queste fondazioni, al pian terreno delle nuove madrase venivano create delle botteghe commerciali che venivano direttamente gestite dal personale dei waqf oppure affittate ai mercanti locali, moltiplicando dunque ricchezza e benessere.

Nonostante tali istituti siano stati creati per raggiungere scopi di carattere sociale e religioso ben specifici, in realtà – spesso – tali fondazioni sono state utilizzate per salvaguardare degli interessi privati divergenti da quelli di carattere caritatevole, generando il fenomeno parallelo del cosiddetto “waqf di famiglia”. Tale meccanismo è stato approvato solo da alcune scuole giuridiche ed è stato utilizzato per diverse ragioni, come per esempio l’evitare un’esagerata lottizzazione degli immobili posseduti all’interno della famiglia in caso di eredità – come stabilito dalle regole di successione islamica – o come per esempio l’evitare la tassazione o l’eventuale confisca arbitraria dei beni in caso di conquista delle terre da parte di un nuovo sovrano.

Osservando invece il fenomeno da un altro punto di vista, si può dire che la creazione e l’espansione di tali fondazioni, nel corso dei secoli, siano state determinanti per incentivare lo sviluppo delle città. Dato che i mercanti e i soggetti più facoltosi vivevano nei grossi centri commerciali e reinvestivano parte delle proprie ricchezze donando beni e denaro per promuovere opere di carità, migliaia di persone si spostarono dalle campagne nei nuovi centri urbani attirati dalla possibilità di ottenere un aiuto concreto per migliorare le condizioni di vita personali e dell’intero nucleo familiare.

Enrico Cocina

Per approfondire: 

– R. Santoro, Le pie fondazioni tra diritto canonico e diritto islamico.

– W. B. Hallaq, Introduzione al diritto islamico.

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