Yemen: la peggior crisi umanitaria al mondo tra guerra, carestia e colera. Il supporto dell’Unione europea



Il 25 giugno 2018,  a Lussemburgo, si è tenuto il Foreign Affair Council dei paesi membri dell’Unione europea (UE), durante il quale il tema della crisi umanitaria in Yemen è stato affrontato. Dal 2015, in seguito allo scoppio della guerra civile tra il potere centrale e gli Houthi, e la seguente avanzata dello Stato islamico (IS), lo Yemen ha un bilancio di migliaia di vittime, 3 milioni di persone hanno dovuto abbandonare le proprie case, 8,4 milioni di yemeniti sono a un passo dalla carestia e 22 milioni di persone dipendono dagli aiuti umanitari per sopravvivere. Inoltre, la consegna di molti beni di prima necessità è resa ancora più difficile dall’embargo all’ingresso di merci imposto dalla coalizione saudita. La mancanza di cibo e la carenza d’acqua ha comportato la diffusione di malattie come la dangue, il colera, la difterite, e la malaria. Dopo tre anni di conflitto la fine della guerra sembra lontana, e gli esperti hanno espresso le proprie preocuppazioni riguardo la capacità di trovare una soluzione politica per porne fine, proprio a causa della complessità del conflitto che vede coinvolti stati sciiti e sunniti. Tuttavia, durante questi anni sia l’ONU che l’UE hanno lavorato per poter far fronte all’emergenza umanitaria e fornire i beni di prima necessità per tentare di frenare la perdita di vite.

La guerra civile in Yemen

La guerra civile yemenita è un conflitto tra gli  Houthi sciiti (alleati alle forze fedeli all’ex presidente Ali Abdallah Saleh, e considerati come ribelli) e il  governo centrale del Presidente sunnita Abd Rabbih Mansur Hadi. Abd Rabbih Mansur Hadi è stato eletto presidente dello Yemen nel 2012 con il 99,8% dei voti. Qualche mese dopo, il Presidente decise di allontanare diversi alti funzionari dei servizi di sicurezza, ritenuti troppo leali al precendente capo dello Stato, Ali Abdullah Saleh. Gli Houthi sono un gruppo armato sciita zaydita, nato e attivo nel governatorato di Sa’dah e nel nord-ovest dello Yemen. Lo Yemen è popolato da una maggioranza sunnita ma anche una grande minoranza sciita, presente principalmente nelle montagne del nord-ovest del paese. Il movimento Houthi originariamente intendeva portare le esigenze culturali delle popolazioni lentamente emarginate dall’influenza del wahabismo saudita. Poi, il movimento ha iniziato a sviluppare una retorica contro l’imperialismo americano (dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003) e il sionismo, quest’ultimo amalgamato con una propaggine della prima. Gli Houthi hanno affermato che le loro azioni si fondano sulla lotta contro l’espansione del salafismo sunnita nello Yemen e la difesa della loro comunità dalla discriminazione. Tuttavia, Presidente sunnita Abd Rabbih Mansur Hadi ha accusato gli insorti di voler istituire la loro legge religiosa, destabilizzando il potere centrale e suscitando sentimenti anti-americani. Il governo yemenita ha anche accusato gli Houthi di avere legami con i sostenitori esterni, in particolare il governo iraniano di stampo sciita.

Nel 2014, i ribelli Houthi hanno conquistato la città di Amran, e a settembre dello stesso anno hanno preso il pieno controllo della capitale Sanaa. Il governo centrale è stato costretto a lasciare la capitale e rifugiarsi nella città di  Aden, nel sud del paese, proclamandola (il 7 marzo 2015) capitale dello Yemen. 

A partire dal 26 marzo 2015, la Royal Air Force saudita, creando una coalizione con numerosi paesi a maggioranza sunnita tra cui Egitto, Sudan, Marocco, Giordania, Qatar, Emirati arabi e Kuwait, ha iniziato una serie di attacchi aerei su numerose basi dei ribelli Houthi nell’ovest del paese, incluso l’aeroporto internazionale di El Rahaba e il palazzo presidenziale di Sanaa. L’ambasciatore saudita a Washington ha affermato che “l’operazione mira a difendere il governo legittimo dello Yemen e ad impedire che il movimento radicale Houthi (sostenuto dall’Iran) assuma il controllo del paese”. Il 3 maggio, la coalizione ha iniziato a proteggere la capitale Aden. Durante tutto il 2015 l’escalation militare ha causato migliaia di vittime, e l’uso di armi provenienti da pesi terzi ha ulteriormente intensificato il numero di vittime. Il 4 settembre 2015, sessanta soldati della coalizione sono stati uccisi nell’attacco missilistico balistico a una base militare nella provincia di Marib, a est di Sanaa. Per rappresaglia, gli aerei Sauditi hanno intensificato nei giorni successivi le loro incursioni sulle posizioni dei ribelli Houthi e dei loro alleati (l’unità dell’esercito fedele all’ex presidente Ali Abdullah Saleh).

A gennaio 2016, anche la capitale Aden, è divenuta anche teatro di nuovi scontri, questa volta contro l’IS che controllava certi quartieri. In realtà, proprio a causa della fragilità istituzionale, dei disordini interni, e alla crescente crisi economica, l’IS è riuscito ad insediarsi in Yemen. L’IS yemenita è una branca del gruppo islamico militante dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL). Il gruppo è stato in grado di attrarre reclute facendo appello all’aumento del settarismo nel paese dopo lo scoppio della guerra civile, e ha ricevuto numerosi disertori da al-Qaeda nella penisola arabica (AQAP), attratti dai soldi del gruppo e dalla sua capacità di effettuare attacchi regolari contro gli Houthi. Il 6 ottobre 2015, i militanti dell’IS  yemenita hanno condotto una serie di attentati suicidi ad Aden che hanno ucciso 15 soldati affiliati al governo e alla coalizione a guida saudita. 

Secondo dei dati forniti dalle Nazioni Unite, nel 2016 il conflitto nello Yemen aveva già causato oltre 6.100 morti, di cui la metà civili, e circa 30.000 feriti. L’ex segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, aveva avvertito Riyadh che il supporto e l’intervento deliberato nel territorio yemenita a sostegno del governo centrale poteva essere considerato un crimine di guerra. Anche il Parlamento europeo, nel febbraio 2016, aveva chiesto un embargo sulle forniture di armi all’Arabia Saudita, criticando i suoi attacchi aerei in Yemen e blocco marittimo imposto al paese, che ha comportato migliaia di morti. Il 10 aprile 2016, è entrato in vigore il cessate il fuoco tra le parti, e il mediatore ONU chiedeva il rispetto della tregua che avrebbe consentito la consegna di aiuti umanitari. Il 28 luglio, gli Houthi hanno proclamato un “Consiglio supremo” di dieci membri, sotto forma di una presidenza collegiale, composta da un presidente e un vicepresidente, per guidare il paese, ma la delegazione del governo ha lasciato i negoziati. Il 30 luglio, il mediatore delle Nazioni Unite propone di prolungare i negoziati di una settimana, che è accettata da entrambe le parti. Il 31 luglio, il governo yemenita ha approvato un progetto di accordo che invitava i ribelli a ritirarsi dalle città che controllava, ma questi lo hanno rifiutato. Nel 2018 è possibile stimare che Secondo il World Food Programme oltre 20 milioni di persone nello Yemen hanno bisogno di aiuti umanitari, rispetto a 17 milioni nel 2016. 

La posizione dell’ONU e l’opinione degli esperti

A marzo 2018, secondo una pubblicazione del UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), 22,2 milioni di persone nello Yemen hanno bisogno di assistenza umanitaria o di protezione, di cui 17,8 milioni sono a rischio di insicurezza alimentare (food insicure) , 16 milioni non hanno accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici e 16,4 milioni sono in mancanza di di assistenza sanitaria adeguata. Secondo le stime, la situazione umanitaria dello Yemen è la peggiore al mondo. Infatti,  garantire alle famiglie il cibo di cui hanno bisogno per sopravvivere è la massima priorità per gli operatori umanitari. I civili stanno subendo il peso della violenza, soprattutto  donne e bambini: i bambini vengono reclutati con la forza dalle parti in conflitto e costretti a combattere per aiutare le loro famiglie a sopravvivere. La mancanza di accesso diretto ha già comportato la diffusione del colera. Secondo le previsioni degli operatori umanitari, per alleviare la sofferenza su vasta scala, servirebbero 2,96 miliardi di dollari per aiutare 13 milioni di persone. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno già fornito aiuti ma rimane un deficit di quasi 2 miliardi di finanziamenti. L’OCHA ha istitutito il Fondo Umanitario per lo Yemen (YHF) che mobilita e indirizza le risorse ai partner umanitari per rispondere ai bisogni critici di milioni di persone colpite dalla devastante crisi umanitaria. Il Fondo opera nell’ambito dei parametri del Piano di risposta umanitaria (HRP), con l’obiettivo di espandere la fornitura di assistenza umanitaria concentrandosi su priorità e necessità critiche.

Il Consiglio di sicurezza dell’ONU è invervenuto a più riprese in supporto della popolazione yemenita. Il 15 febbraio 2015, all’inizio della crisi, il Consiglio di sicurezza dell’ONU, con la Risoluzione 2201, ha chiesto il ritiro degli Houthi dalle istituzioni governative, condannando il loro tentativo di sciogliere il parlamento inteso come minaccia per la già delicata situazione politica e sociale del paese. Nove giorni dopo, con la Risoluzione 2204 (2015) ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio ha prorogato fino al 26 febbraio 2016 il congelamento dei beni e il divieto di viaggio per contribuire a arginare la crisi nel paese del Golfo, ed è stato prorogato il mandato di un “Panel of Experts” (creato nel 2014 e che assiste il Comitato del Consiglio di sicurezza per lo Yemen per fornire reports, dati e informazioni relative alla crisi in corso in modo da poter intervenire per frenare gli scontri) fino al 25 marzo 2016. Il 14 aprile, Il Consiglio di sicurezza ha chiesto la fine della violenza in Yemen, adottando la Risoluzione 2216 (2015), imponendo sanzioni nei confronti di individui che minavano la stabilità del paese, in particolare gli Houthi e allo stesso tempo ha istituito il UNVIM (UN Verificationand Inspection Mechanism for Yemen) in modo da verificare e ispezionare in modo imparziale i beni commerciali in entrata nel paese far favorire il passaggio degli aiuti umanitari. Il 24 febbraio 2016, Il Consiglio di sicurezza, adottando la Risoluzione  2266 (2016), e ha prorogato di un anno le sue sanzioni contro gli attori che minacciavano la stabilità e allo stesso tempo ha esteso il mandato del gruppo di esperti che assiste il comitato incaricato di sovrintendere a tali misure. Il 23 febbraio 2017, il Consiglio ha inoltre riaffermato le disposizioni dei paragrafi 14-17 della risoluzione 2216 (2015) – attraverso le quali ha deciso di vietare la fornitura, la vendita o il trasferimento di armi alle persone e alle entità designate dal comitato come impegnate a fornire sostegno agli attori che minacciavano la pace, la sicurezza o la stabilità dello Yemen. Il 26 febbraio 2018, Il Consiglio di sicurezza ha deciso all’unanimità di rinnovare il divieto di viaggio, il congelamento dei beni e l’embargo sulle armi contro coloro che minacciano la pace e la sicurezza nello Yemen.

Secondo Osamah Al-Rawhani, Program Director per il Sana’a Center for Strategic Studies (SCSS), lo Yemen ha subito una serie di processi di ricostruzione infruttuosi in risposta alle catastrofi naturali e alla crisi in corso. Sebbene gli aiuti internazionali siano stati erogati, lo Yemen, a causa della instabilità politica interna non è capace di iniziare la ricostruzione. Secondo lui, infatti, prima di investire nella ricostruzione sociale bisognerebbe stabilizzare il tessuto politco.  Pertanto, gli sforzi di ricostruzione dovranno adottare un approccio decentrato che guardi alle divisioni maggiori nella geopolitica interna del paese. Il decentramento è la forma che lo Yemen dovrebbe assumere per preservare l’unità dello stato e garantirne l’efficacia. Secodo lui, il futuro processo politico deve dare la priorità alla ricostruzione delle istituzioni statali. La comunità internazionale manca ancora di comprensione delle dinamiche interne yemenite e non è riuscita ad avvicinarsi allo Yemen con un approccio locale. Il costo attuale per la ricostruzione dello Yemen potrebbe superare gli 80 miliardi di dollari, secondo le stime della Banca mondiale. Lo Yemen è un paese povero e si affiderà alla comunità internazionale e ai poteri regionali, come l’Arabia Saudita, per finanziare il processo di ricostruzione. Il piano di ricostruzione sarà sempre influenzato da questi stati ricchi e potenti: le potenze esterne operano perseguendo i propri interessi, e queste non necessariamente saranno sempre nel miglior interesse dello Yemen.

Secondo Annalisa Perteghella, ricercatrice all’Istituto per gli Studi di politica internazionale (ISPI), il conflitto yemenita è caratterizzato da una lotta interna per il potere e non dall’influenza dell’Arabia Saudita (sunnita) e dell’Iran (sciita) che vogliono affermare la propria supremazia sul territorio. Tuttavia, il conflitto ha subito una dinamica di politicizzazione delle identità religiose. Secondo lei, il fatto che gli iraniani appoggino gli Houthi per comune appartenenza sciita è una falsa credenza. In primis, gli Houthi non sono un gruppo strettamente religioso, e hanno obiettivi politici. Inoltre, al loro interno c’è anche una minoranza sunnita, e la forma di sciismo che praticano è diversa da quella iraniana.  Infine, il ruolo giocato dall’Iran nel conflitto in Yemen resta ambiguo: il sostegno iraniano agli Houthi non è giustificato da un’appartenenza comune alla fede sciita. Dunque, sembra sbagliato caratterizzare il conflitto yemenita come il risultato di un odio secolare tra sunniti e sciiti, o un semplice terreno di scontro tra Arabia Saudita e Iran. Per ben comprendere la guerra in Yemen e quindi trovare una soluzione bisognerebbe uscire dalle dinamiche di politicizzazione delle “differenze”. 

Secondo Eleonora Ardemagni, ricercatrice per il Medio-Oriente e il Nord Africa all’ISPI, l’intervento militare dell’Arabia Saudita nello Yemen è stato un fattore di svolta perché una tale mossa ha regionalizzato apertamente un conflitto, favorendo l’avanzata dell’IS. Inoltre, l’ingerenza di attori esterni ha ulteriormento reso più difficile il percorso per un accordo politico interno. L’UE si è mobilitata nei confronti della crisi yemenita principalmente per fornire assistenza umanitaria per la popolazione e rifugiati che sono arrivati ​​in Gibuti e in Somalia. Lo Yemen dipende interamente dall’importazione di cibo e il blocco aereo e navale imposto dalla coalizione guidata dai sauditi ha ostacolato gli interventi umanitari. Se da un lato è vero che l’ingerenza militare della coalizione saudita e dell’Iran ha reso il processo di negoziazione politica interna impossibile è anche vero che altri attori regionali, come l’UE, dovrebbero migliorare il loro impegno diplomatico per una soluzione politica del conflitto yemenita, favorendo rinnovate energie agli sforzi dell’ONU (e quelli informali dell’Oman) per raggiungere prima un cessate il fuoco e poi un accordo politico. 

La posizione dell’Unione europea

Sin dall’inizio dell’avanzata degli Houthi fino ad oggi, l’UE ha contribuito con oltre 234 milioni di dollari in finanziamenti umanitari per lo Yemen. Il 3 aprile 2018, le Nazioni Unite e i governi di Svezia e Svizzera hanno organizzato a Ginevra un evento di alto livello per la crisi umanitaria nello Yemen: i partecipanti hanno garantito più di 2 miliardi di dollari per sostenere la fornitura di aiuti umanitari necessari a milioni di persone nello Yemen. In quella occasione l’UE ha promesso 107,5 milioni di euro in nuovi finanziamenti per il 2018 per aiutare i civili. L’UE ha inoltre politicamente esortato tutte le parti del conflitto a garantire un accesso sostenibile e sufficiente dei prodotti umanitari. I fondi dell’UE vengono convogliati attraverso organizzazioni partner (ONG internazionali, agenzie specializzate delle Nazioni Unite e movimento della Croce Rossa/ Mezzaluna Rossa) che assicurano che gli aiuti raggiungano le popolazioni più bisognose indipendentemente dalla loro affiliazione politica, credenze religiose o origine etnica. Nel 2015, l’ONU con la Risoluzione 2216 ha istituito un meccanismo di verifica e ispezione per lo Yemen (UNVIM – UN Verificationand Inspection Mechanism for Yemen) in modo da verificare e ispezionare in modo imparziale i beni commerciali in entrata. L’UE, l’ha cofinanziato e continua a sostenere il suo mandato e la sua attuazione senza ostacoli. Grazie ai fondi destinati allo Yemen, l’UE sostiene la resilienza e la fornitura di servizi di base e mezzi di sussistenza sostenibili. L’aiuto umanitario dell’UE sostiene i centri di alimentazione terapeutica, che tratta i bambini malnutriti, nonché i programmi di assistenza sanitaria e di sicurezza alimentare. In risposta all’epidemia di colera, e finanzia centri per il trattamento del colera e attività di prevenzione. Inoltre, l’UE sostiene i servizi aerei umanitari delle Nazioni Unite (UNHAS), che forniscono un trasporto aereo affidabile agli operatori umanitari e alle merci.

Nelle Conclusioni adottate il 16 Novembre 2015, L’UE ha invitato tutte le parti a impegnarsi in modo flessibile e costruttivo, senza precondizioni e in buona fede nella preparazione e nella conduzione di negoziati facilitati dalle Nazioni Unite. L’UE ha esortato il governo dello Yemen ad assumersi le proprie responsabilità nella lotta contro gruppi estremisti e terroristi, come Al Qaeda nella penisola arabica (AQAP) e Da’esh nello Yemen, che stanno sfruttando l’attuale instabilità. L’UE attende con impazienza la rapida attuazione del meccanismo di verifica e ispezione delle Nazioni Unite (UNVIM) per il trasporto commerciale – compreso il carburante – per lo Yemen, a cui contribuirà finanziariamente. L’UE e i suoi Stati membri hanno sottolineato la necessità di un approccio concertato, coordinato e strategico della comunità internazionale e del governo dello Yemen alla ricostruzione del paese, e sono pronti a svolgere il loro ruolo negli sforzi a beneficio di tutti gli Yemeniti.

Nelle Conclusioni adottate il 3 Aprile 2017, per l’UE non poteva esserci una soluzione militare al conflitto in corso in Yemen. La risoluzione della crisi implicava necessariamente un processo negoziale che avrebbe dovuto coinvolgere tutte le parti interessate, a cui le donne devono partecipare pienamente ed efficacemente e che doveva portare a una soluzione politica inclusiva. In questo contesto, l’UE ribadiva il suo fermo sostegno agli sforzi del Segretario generale delle Nazioni Unite e del suo inviato speciale in Yemen, Ould Cheikh Ahmed Ismail, per raggiungere una ripresa dei negoziati, e invitava tutte le parti in conflitto a rispondere ai loro sforzi in modo flessibile e costruttivo, senza condizioni preliminari e ad attuare pienamente, senza indugio, tutte le disposizioni delle pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L’UE ribadiva l’urgente necessità di rimuovere gli ostacoli, compresi quelli burocratici, che impedivano la fornitura di assistenza salva-vita e per facilitare il recapito tempestivo e senza ostacoli ai civili bisognosi. L’UE invitava gli attori statali e non statali a garantire la sicurezza dei servizi di soccorso e degli operatori umanitari e a facilitare il loro accesso sicuro.

Il 25 giugno 2018, in occassione del Foreign Affair Council a Lussemburgo, i paesi membri hanno adottato delle Conclusioni riguardati la situazione in Yemen.  L’UE ha ribadito il proprio sostegno alle attività portate avanti dall’ONU e dal Segretario generale/inviato speciale (UNSE) per lo Yemen, Martin Griffiths, soprattutto per i suoi sforzi per trovare una soluzione politica per questo conflitto. L’UE ha anche condannato il lancio di missili balistici da parte degli Houthi contro il Regno dell’Arabia Saudita, compresi obiettivi civili, e contro le navi che transitano attraverso lo stretto di Bab Al Mandab: queste azioni alimentano le tensioni regionali e minacciano la sicurezza e la stabilità dei paesi vicini dello Yemen, incluso nel Corno d’Africa, e la regione del Mar Rosso. Allo stesso tempo, l’UE ha esortato il governo dello Yemen ad assumersi le proprie responsabilità nella lotta contro i gruppi terroristici che stanno sfruttando l’attuale instabilità. L’UE è voluta rimane impegnata al fine di continuare a fornire aiuti a tutte le persone bisognose dello Yemen, e all’assistenza per la ricostruzione.

La complessità del conflitto yemenita, che vede coinvolti stati confinanti e non, ha ad oggi comportato  la distruzione di un paese, e questa realtà è poco conosciuta a livello mediatico. L’UE ha sin dall’inizio del conflitto appoggiato la politica adottata dall’ONU, conformandosi alle Risoluzioni. In realtà l’UE, in questo tipo di conflitto, può avere un ruolo strategico fondato proprio sulla sua “neutralità”. Secondo Joost Hitlermann, Middle East and North Africa Program Director all’ International Crisis Group, proprio per il fatto che l’UE ha sempre fornito sostegno può riuscire a mediare e influenzare alcuni paesi terzi che intervengono nel conflitto, soprattutto gli Stati Uniti, gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudiata. Inoltre, gli stati europei, in particolare i membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, come il Regno Unito dovrebbero fare pressione per una nuova Risoluzione che sosterrebbe un processo politico più inclusivo. L’attuale quadro per i negoziati si basa sulla Risoluzione del Consiglio di sicurezza 2216, ma tale Risoluzione non prendeva in conto  la gamma completa delle forze yemenite sul terreno e poneva precondizioni non realistiche sugli Houthi. Dunque, oltre che a fornire fondi e aiuti, promuovendo le Risoluzioni dell’ONU, l’UE dovrebbe utilizzare il suo ruolo strategico in seno al Consiglio di sicurezza per riuscire a far passare il suo messaggio di riconciliazione tra le parti. 

Maria Elena Argano

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *