Coronavirus, come cambierà la scuola? 2




Le settimane che stiamo vivendo dall’inizio dell’emergenza sanitaria hanno segnato profondamente la vita di tutti noi, cambiando l’assetto organizzativo della famiglia, del lavoro, della scuola, degli assi portanti della società umana e, ancora oggi, non immaginiamo neanche quanto profondi possano essere i solchi di questo cambiamento; una cosa è certa, nessuno e nessuna cosa sarà più come prima.

L’analisi che segue ha per oggetto la scuola, l’istituzione che per definizione assolve al compito di “formare” le nuove generazioni, quel luogo dove i processi di insegnamento/apprendimento  non avvengono casualmente ma in modo scientificamente condotto, grazie ai docenti, professionisti esperti di questi processi, e grazie al dirigente scolastico (c’è anche lui/lei), garante e responsabile della gestione  e dell’efficacia  erga omnes, nessuno escluso, come Costituzione comanda.

Il modello di insegnamento da sempre praticato nella scuola è stato quello trasmissivo: il docente spiega in cattedra, gli alunni ascoltano, ogni tanto qualcuno interviene, i più acuti fanno domande, a casa si studia, si approfondisce, qualche giorno dopo il professore interroga e valuta. I più bravi vengono premiati con voti buoni, quelli che non hanno seguito questo processo vengono tagliati fuori dal circuito (drop out).

E’ chiaro che un modello di questo tipo, volutamente esasperato e semplificato in questa descrizione, solo per usare una iperbole, in una scuola vissuta “in presenza” lascia indietro e poi completamente fuori gli alunni più svogliati, i ragazzi più fragili, coloro che non si lasciano “emozionare” e quindi coinvolgere dai “racconti” dei professori, oppure quei soggetti che, non avendo gli strumenti culturali, non riescono a tenere il passo di un meccanismo che “va avanti” ad ogni costo, senza pause e senza soffermarsi o voltarsi indietro per recuperare “gli esclusi”.

 Analizziamo, a questo punto, cosa può succedere se, per i motivi che tutti conosciamo, il modello classico di scuola in presenza venisse sospeso: le scuole all’improvviso vuote per il tragico e inedito provvedimento dell’isolamento sociale che costringe docenti ed alunni a stare a casa.

Oltre e al di là della  presunta (e non tanto reale) “euforia” dei primi giorni senza scuola, accade che cresce lo sconforto, persino degli alunni più svogliati, i quali riscoprono, sulla loro pelle, il vero senso di questo luogo dove si consuma non solo un obbligo ma soprattutto un piacere, il piacere riscoperto oggi nella costrizione dell’isolamento, il piacere di “stare con”, di vivere la classe, quel luogo meraviglioso ed insostituibile dove i processi di insegnamento/apprendimento avvengono in modo del tutto unico perchè vissuti nella dimensione della cooperazione.

In pochi giorni ci si attrezza a rispolverare, per chi fortunatamente le ha già sperimentate, anche se  tenute in cantina, le “piattaforme digitali”, quei software che ogni istituzione scolastica ha messo su, quasi costretti dal piano di innovazione e formazione portato avanti nell’ultimo decennio dal Ministero dell’Istruzione, e che ha avuto impulso in ogni scuola grazie all’ “animatore digitale”, in certi casi “ri-animatore”, ossia quel docente più esperto che si fa promotore della introduzione di nuove modalità di insegnamento con l’utilizzo di programmi digitali.

Da un giorno all’altro, quindi, gli alunni e i docenti sono costretti ad interrompere le lezioni in presenza e ad utilizzare le piattaforme digitali che fino ad ora sono state solo uno strumento riservato ai più appassionati.

Pensiamo, invece, a quei ragazzi più sfortunati, i più fragili, coloro che persino in presenza, non hanno gli strumenti culturali, sociali e personali per seguire la modalità “trasmissiva” della scuola tradizionale.

Soprattutto per loro non c’è più ogni mattina la sveglia, non c’è più la mamma che li butta dal letto, in alcuni casi neanche quella, o la campanella della scuola e l’amato/odiato portiere che minaccia i più ritardatari di chiudere il portone di ingresso.

C’è il vuoto, oppure quella diavoleria che si sono inventati per renderti la vita impossibile anche da casa e che i gruppi whatsapp di classe stanno implorando ad  “accendere”.

Ebbene, questi alunni cosa stanno facendo? Hanno tutti un tablet o almeno un telefonino idoneo?

Hanno una linea internet disponibile ed adeguata? Hanno a casa una postazione disponibile? (anche nelle case più fortunate, infatti, ci sono 3 o 4 persone  contemporaneamente al pc, per smart working o lezioni). Hanno la voglia di collegarsi ogni giorno? Hanno questa possibilità?

A tutti questi interrogativi, noi operatori del settore, docenti e dirigenti scolastici, abbiamo cercato di dare una risposta in queste settimane.

Non possiamo certo definirci eroi in prima fila come medici ed infermieri, ma non siamo di sicuro  in vacanza e se ne sono accorti tutti o quasi; lo sanno le famiglie, le mamme e i papà in casa presenti, quando una notifica whatsapp  ha ricordato : “la scuola non è affatto finita” ma prosegue sotto mentite spoglie!

Abbiamo messo in atto misure a dir poco intuitive, non certo programmate o programmabili, ma abbiamo utilizzato ogni canale consentito per raggiungere tutti.

Intanto abbiamo perfezionato le nostre piattaforme che se prima erano un plus valore, un accessorio in più per i più appassionati, ora sono diventate “scuola” a sistema, con classi virtuali, con docenti e soprattutto alunni.

Al netto degli iniziali e fisiologici problemi di tutela e di riservatezza (riedizioni di informative e liberatorie suggerite anche da note ministeriali, peraltro non sempre totalmente corrette sul piano normativo) la scuola a distanza è partita ovunque.

Restano però alcuni nodi problematici, che non sono né pochi né di poco conto e che devono, da oggi in poi, costringere noi operatori scolastici ad un ripensamento della scuola per così dire tradizionale.

  1. La scuola ha bisogno di meno valutazione e di maggiore coinvolgimento emotivo da parte dei ragazzi e questo sia in presenza che, ancor di più, a distanza. Davvero pensiamo di insegnare meglio utilizzando la “verifica” come strumento di condizionamento o di rinforzo? Pensiamo veramente che la scuola è solo il luogo dove vengono trasmese conoscenze e che i ragazzi possano essere interrogati, magari anche a distanza? Siamo veramente convinti che attraverso questi collegamenti gli alunni debbano soltanto essere “preparati”? O piuttosto i ragazzi e le ragazze cercano in noi qualcos’altro, forse delle figure di riferimento, forse il calore umano di un luogo del cuore “sicuro”. Non è un caso che nella scuola finlandese, non certo ultima per risultati conseguiti dagli alunni in termini di competenze, i voti sono del tutto aboliti anche in presenza.

In questo difficile momento la didattica a distanza sta veicolando sentimenti, affetti, presenze fatte anche di mancanza fisica.

  1. Il modello di scuola “trasmissiva” va superato perchè non funziona in presenza né, tanto meno, a distanza.

Non funziona più che il docente spiega e gli alunni ascoltano, chi più chi meno, e poi magari intervengono e fanno domande.

Di informazioni gli alunni ne hanno fin troppe, vanno sulla rete e ne trovano a migliaia.

Se mai i ragazzi devono essere forniti di strumenti conoscitivi per distinguere le fonti corrette, le notizie vere dalle fakes.

Il docente, in questa prospettiva, ha un altro compito che è quello di offrire loro delle sitografie o links autorevoli e sicuri da dove attingere le informazioni e gli approfondimenti che servono.

La “lezione”, in presenza o a distanza, diventa il momento di ritorno di questo lavoro, il momento in cui saranno i ragazzi e le ragazze a fare domande al docente, che si troverà, dunque, a discutere in una dimensione quasi capovolta (flipped classroom) in cui sono gli alunni i veri trasmettitori di conoscenze.

  1. La didattica a distanza non è il solo scambio di informazioni o assegnazione di compiti a valanga ma è molto, molto di più; è il processo che si attiva con la “costruzione” di un oggetto didattico, un prodotto, un lavoro, frutto della interazione di tutta la classe, reale o digitale che sia.

L’apprendimento è il frutto di questo processo di costruzione cooperativa, dove ciascun alunno/a apporta il suo contributo personale interagendo, in presenza o a distanza, in modo sincrono o asincrono, con i suoi compagni di classe.

La scuola è scuola anche, e soprattutto, per questa dimensione sociale della classe.

L’apprendimento funziona di più se è fatto con gli altri, con il gruppo dei pari (cooperative learning) e con gli adulti a sostegno (funzione docente-animatore-allenatore).

  1. La scuola da oggi in poi non potrà più fare a meno del digitale, anche mai si potrà ridure ad esso.

Nessun docente potrà sottrarsi dall’aggiornarsi e dal dovere di imparare a distrircarsi nel complicato dedalo del web e dei software ; anzi si dovrà fare sempre di più e sempre meglio per aiutare i ragazzi ed essere noi più esperti di loro.

Soprattutto dovrà essere messa in campo una strategia sistemica per fornire tutti gli alunni, non uno di meno, dei dispositivi hardware e software per seguire qualsiasi forma di didattica digitale, anche quanto, passata l’emergenza attuale, speriamo quanto prima, si ritornerà tra i banchi di scuola, un po’ più consapevoli della bellezza di questo luogo che si chiama scuola e che non si riduce, per fortuna, ad un edificio ma che è sostanzialmente una comunità di persone legate da più scopi.

  1. La scuola non può e non deve lasciare indietro nessuno, deve raggiungere tutti e tutte, garantendo quella eguaglianza di opportunità, non di risultati, (diversi perchè necessariamente personali) che è costituzionalmente tutelata. E’ questa la funzione della scuola pubblica, una funzione sociale di promozione culturale, di democrazia reale.
  2. La scuola così intesa è il vero motore, l’alito del mondo, il vero ascensore verso il miglioramento di ogni persona, ma ancora di più, di ogni nazione e di ogni paese civile. Solo dalla scuola e attraverso di essa che potranno formarsi tutte le classi dirigenti, i medici, gli infermieri che salveranno il mondo dalle dalle decisioni errate e dalle malattie mortali.

 

Prof.ssa Daniela Crimi
Dirigente Liceo Linguistico Ninni Cassara’ di Palermo

 

 

 


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2 commenti su “Coronavirus, come cambierà la scuola?

  • Giovanna

    Bellissima riflessione…lascia spazio alla implementazione del concetto di inclusione, pur facendo i conti con i limiti dell attuale sistema che, come il precedente …” trasmissivo” ,..deve essere adeguatamente dimensionato e reso ” vivibile e possibile” nel concreto del quotidiano individuale…laddove deve far i conti con le risorse individuali a 360 gradi( intellettive, socio ambientali e familiari) per renderlo fruibile in pari misura per tutti…