Accordo nucleare: il Congresso americano alla ricerca di un punto di equilibrio


Accordo nucleare: il Congresso americano alla ricerca di un punto di equilibrio

L’accordo sul nucleare (JCPOA = Joint Comprehensive Plan Of Action) è stato stipulato nel 2015 tra l’Iran e i paesi del cosiddetto “5+1”, cioè i membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU con potere di veto più Germania e Unione europea. Esso ha previsto l’eliminazione progressiva delle sanzioni economiche precedentemente imposte dalla comunità internazionale contro Teheran in cambio di una forte limitazione dello sviluppo di un programma nucleare e, in particolar modo, della costruzione di testate atomiche nei successivi dieci anni. Per assicurarsi il rispetto di tali obblighi è stata istituita un’apposita agenzia internazionale, l’International Atomic Energy Agency (IAEA) la quale, a cadenza trimestrale, ha il compito di effettuare tutte le verifiche necessarie in suolo iraniano: in tutti e nove i controlli effettuati finora l’agenzia ha sempre dichiarato la totale adempienza iraniana a tutte le clausole dell’accordo. A margine di quest’accordo internazionale, nel 2015 il Congresso americano ha votato una legge, l’Iran Nuclear Agreement Review Act (INARA) che stabilisce l’obbligo, da parte dell’amministrazione statunitense, di attestare ogni 90 giorni dinanzi al Congresso il rispetto dell’accordo sulla base dei dati emanati dall’IAEA.

Dal suo insediamento alla Casa Bianca, Trump aveva già certificato due volte l’osservanza dell’accordo da parte dell’Iran, nonostante egli avesse più volte manifestato una certa insofferenza nei confronti di quello che può essere considerato come uno dei pilastri portanti dell’eredità Obama in politica estera. In effetti, il sentore di quello che è effettivamente avvenuto il 13 ottobre scorso, ovvero la decisione del presidente americano di non certificare l’accordo per la terza volta, lo si era già percepito dalle parole pronunciate il 19 settembre nel suo primo discorso tenuto dinanzi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, contesto nel quale Trump ha accusato l’Iran di essere un “rogue state” (stato canaglia) e che l’intesa ereditata da Obama rappresenti uno degli accordi peggiori mai firmati dagli Stati Uniti, un vero e proprio imbarazzo per la sua amministrazione.

La stipulazione di tale accordo, sin dall’inizio, ha diviso il dibattito politico americano e non solo. I più critici, in particolar modo la parte più estremista del Partito Repubblicano, appoggiata da think tank conservatori, si sono dichiarati completamente contrari all’accordo. In particolar modo, per essi il punto critico è rappresentato dalla “sunset clause”, la quale prevede la fine delle restrizioni sull’armamento nucleare nel 2025: secondo gli esperti, con un’economia in crescita grazie allo smantellamento delle sanzioni internazionali, l’Iran potrebbe violare tale clausola in qualunque momento e sviluppare la tecnologia nucleare in poco tempo. Per questo motivo, essi sono favorevoli all’implementazione del cosiddetto “piano Bolton”, dal nome dell’ex ambasciatore statunitense presso l’Onu: dato che secondo essi è impossibile convincere l’Iran a modificare l’accordo attuale, essi credono che l’unica opzione sia quella di ritirarsi da esso e attuare tutte le pressioni necessarie per spingere alla stipulazione di un nuovo accordo più ampio, che comprenda non solo una restrizione definitiva sulla possibilità di acquisizione dell’armamento nucleare, ma anche una riduzione significativa del programma iraniano per lo sviluppo di missili intercontinentali. Inoltre, dato l’aumento dell’influenza politica iraniana all’interno della regione anche attraverso l’utilizzo di proxies come Hezbollah, secondo tale piano stavolta bisognerebbe coinvolgere maggiormente gli storici alleati nell’area, ovvero Israele e tutti gli alleati del Golfo, per riuscire a contenere definitivamente l’Iran. In caso di fallimento del nuovo tavolo dei negoziati, secondo tale piano l’amministrazione americana dovrebbe discutere anche dell’eventualità di un’opzione militare con Israele e altri partner selezionati.

PRESIDENT.IR/HANDOUT VIA REUTERS

I sostenitori del provvedimento, invece, sono composti dalla maggioranza dei Democratici, da alcuni ex oppositori repubblicani che hanno cambiato idea e dagli altri paesi partecipanti all’accordo, i quali insistono invece su 5 punti fondamentali: 1) l’accordo sta funzionando, come certificato più volte dall’IAEA; 2) annullarlo potrebbe provocare un isolamento internazionale degli Stati Uniti da parte degli alleati europei, contrari ad una modifica dell’accordo, e complicherebbe la possibilità di trovare un’intesa con la Corea del Nord; 3) il rischio della mancata certificazione dell’accordo potrebbe spingere gli hard-liners iraniani a chiedere al governo un maggior sforzo in tema di sicurezza e armamenti, elemento che non è di aiuto nel contesto mediorientale e nella lotta all’ISIS; 4) verrebbe minata la reputazione internazionale del paese; 5) Trump ignora le regole che stanno alla base della diplomazia internazionale, ovvero che in una negoziazione diplomatica entrambi i contraenti cercano di ottenere dei vantaggi come stabilisce la logica del gioco a somma positiva: anche qualora si riuscisse a convincere il governo iraniano a sedersi nuovamente attorno ad un tavolo per negoziare un accordo più ampio, la logica alla base del nuovo negoziato non sarebbe quella di un “more for the same”, ma di un “more for more”.

Proprio per tutte queste ragioni, molti esponenti della amministrazione americana, in particolare il Segretario di Stato Rex Tillerson, il Segretario alla Difesa James Mattis e il National security adviser H. R. Mcmaster avevano chiesto al presidente maggiore cautela sul tema: essi avevano paventato la possibilità di adottare un “waive and slap approach”, ovvero mantenere in piedi l’accordo imponendo però sanzioni secondarie al regime, senza così incorrere in una violazione. Nonostante il presidente abbia deciso di non certificare l’accordo per la terza volta, seguendo di fatto la strategia di Netanyahu del “fix it or nix it” (modificalo o eliminalo), gli Stati Uniti non hanno ancora formalmente violato l’accordo in quanto tale meccanismo di certificazione è previsto dalla legislazione interna derivante dall’INARA e non dal JCPOA in sé. La palla è passata dunque nelle mani del Congresso, il quale ha il potere di decidere se seguire o meno la strada che il presidente vorrebbe intraprendere: in particolar modo, la richiesta principale è l’inserimento di un meccanismo automatico di imposizione di sanzioni economiche ogni qualvolta Teheran superi certe soglie specifiche, come ad esempio il finanziamento di gruppi terroristici o il miglioramento tecnologico eccessivo nell’ambito del programma di sviluppo dei missili intercontinentali: tale meccanismo, però, provocherebbe una violazione immediata dell’accordo, dunque equivarrebbe alla fine di un’intesa raggiunta faticosamente in extremis con lo sforzo di tutti i contraenti. Per queste ragioni, il Congresso sembra voler puntare più sulla strategia di Tillerson: in effetti, il 26 ottobre la Camera dei rappresentanti ha approvato (423 voti a favore e 2 contrari) la legislazione bipartisan per imporre sanzioni secondarie per colpire il programma di sviluppo dei missili intercontinentali, sanzioni che non compromettono l’accordo originario. Spetta ora al Senato pronunciarsi definitivamente sulle future mosse da compiere in merito a tale questione: la scadenza ultima per la decisione finale è fissata al 12 dicembre.

Enrico Cocina

 

Per approfondire:

https://www.foreignaffairs.com/articles/iran/2017-10-25/why-its-tough-get-tough-iran

https://www.politico.com/story/2017/10/13/trump-iran-nuclear-deal-decertification-sanctions-243734

http://foreignpolicy.com/2017/09/26/the-myth-of-a-better-iran-deal/

https://www.centerforsecuritypolicy.org/2017/09/21/45-national-security-experts-urge-president-trump-to-withdraw-from-nuclear-deal-with-iran-using-the-bolton-plan/

http://nationalinterest.org/feature/donald-trump-the-art-trashing-the-nuclear-deal-22682

http://www.limesonline.com/trump-accordo-nucleare-iran-decertificazione-nuova-strategia/102333

 

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