Caos Yemen: il commento dell’Ambasciatore Sanguini


Southern Popular Resistance fighters gather on a road during fighting against Houthi fighters in Yemen’s southern city of Aden May 3, 2015. REUTERS/Stringer – RTX1BC8V

 

 

Caos Yemen: il commento dell’Ambasciatore Sanguini

Antonio Guterres, Segretario generale delle Nazioni Unite, l’ha definite la più grande crisi alimentare del mondo. Il colera sta dilagando nel tristo contesto di devastate condizioni sanitarie. Si contano oltre 2 milioni di sfollati, mentre il conto dei morti civili si allunga di giorno in giorno chiamando in causa le pesanti responsabilità della coalizione a guida saudita che peraltro non alleggeriscono il peso di quelle delle forze ribelli. Al Qaeda, presente dal 2012, sta profittando della situazione conflittuale per rafforzarsi, soprattutto nell’area meridionale del paese mentre da due anni circa vi si è impiantato anche l’ISIS costretto a ritirarsi dall’Iraq e dalla Siria.

Questo tristo bilancio si riferisce allo Yemen, già classificato tra i paesi più poveri del mondo, che da quasi tre anni soffre di una guerra civile innescata da un colpo di stato scatenato dagli Houthi – movimento nato negli anni ’90 per lottare contro le asserite discriminazioni a loro danno perpetrate dal governo centrale nella regione nord del paese – contro i quali è intervenuta, una coalizione militare araba a guida saudita (Egitto Emirati, Bahrein, Kuwait, Qatar Giordania etc.) su richiesta del legittimo Presidente Mansour Hadi.

E’ difficile pensare che una tale coalizione sarebbe mai stata messa in campo se da parte saudita non vi fosse stato il convincimento di una complicità destabilizzante dell’Iran nell’azione bellica degli Houthi – propiziata tra l’altro dalla loro prevalente professione di fede zaidita, variante dello sciismo – e se sul trono non fosse stato seduto il re Salman con a fianco il giovano impetuoso figlio, Mohammed, nominato Ministro della difesa e poi asceso al rango di Principe ereditario. Sta di fatto che da allora la guerra si è andata trasformando, grazie anche all’intervento a fianco degli Houthi del deposto Presidente Ali Abdullah Saleh con le sue truppe pretoriane, in una palude bellica nella quale sono affondati anche i diversi tentativi di mediazione posti in essere dalle Nazioni Unite il cui Consiglio di sicurezza ha a suo tempo condannato il colpo di stato. E non erano pochi coloro che vedevano in questa guerra una sorta di Vietnam saudita che solo l’ossessione iraniana di Riyadh poteva spiegare inducendo la coalizione a chiudere il paese in una sorta di soffocante blocco navale destinato, nelle intenzioni, a fiaccare le velleità delle forze ribelli.

 

Ma in questi ultimi tempi è intervenuta una variante che potrebbe alterare sensibilmente i pronostici e, soprattutto, l’andamento di questa guerra. La variante si chiamava proprio Saleh, sciita e personaggio che parrebbe inventato da una contorta fantasia onirica se non fosse invece assai reale. Presidente dello Yemen del Nord dal 1978 e poi dello Yemen riunificato nel 1990. Combatte contro gli Houthi tra il 2004 e il 2010 in un conflitto che fa migliaia di vittime. Obbligato a fare un passo indietro sulla scia di quella che per comodità possiamo chiamare la primavera yemenita, negozia coi paesi del Golfo una transizione che gli consente di ottenere l’immunità, il controllo del partito e di parte importante dell’apparato di sicurezza.

Si schiera quindi con i suoi antichi nemici in un’alleanza che fa strumentalmente comodo all’una e all’altra parte nel reciproco interesse a far franare il governo di Abd Rabbo Mansur Hadi e il suo partito che fa riferimento alla sunnita Fratellanza musulmana. Si chiamava Saleh che, con una mossa preparata da tempo e affiorata con crescente evidenza e forza, aveva fatto affiorare una crepa sempre più larga nei suoi rapporti col vertice degli Houthi, scavata infine da una sequenza di scontri militari (80 morti) che lo avevano portato, sabato, 2 dicembre, a dichiarare che si era aperto un “nuovo capitolo” con la coalizione militare a guida saudita in vista della restaurazione della legittimità in Yemen e a fare appello al “ grande popolo yemenita, a cominciare dai leader tribali, a muoversi per difendere loro stessi e la nazione contro la cospirazione ordita dal movimento degli Houthi”.

Rigettando la mediazione tentata dal Qatar, uscito nel frattempo, come noto, dalla coalizione a guida saudita a seguito della rottura delle relazioni diplomatiche con Riyadh, verosimilmente su sollecitazione di Teheran. A questa dichiarazione aveva fatto seguito, lunedi 4 dicembre l’annuncio ufficiale della dissoluzione della partnership con gli Houthi:

“l’ora zero è suonata ….per mettere fine alle provocazioni delle milizie Houthi in terra yemenita” aveva dichiarato Saleh. E mentre erano in corso consultazioni per la formazione di un consiglio militare guidato dal Colonel Tariq Mohammed Abdullah Saleh, il nipote di Saleh, il vice presidente dello Yemen si era affrettato ad affermare: “lo Stato sta dalla parte di tutti quelli che fanno il loro dovere contro i ribelli Houthi che spargono violenza e divisioni nella società”

significativa presa di posizione che si incrociava con il comunicato della direzione del partito di Saleh che aveva salutato positivamente “gli sforzi in atto per serrare i ranghi ed eliminare i focolai di tensione nel paese.”

La palude yemenita nella quale sembrava impantanata l’Arabia saudita e relativi alleati sembrava dunque aver trovato un canale di deflusso forse decisivo ai fini dell’apertura di uno spiraglio di negoziato degno di questo nome sotto l’egida, finora alquanto appannata, delle Nazioni Unite. Con quali modalità e tempi, era difficile dire in dipendenza dal prezzo che Riyadh e i suoi alleati avevano già pagato per provocare la svolta di Saleh e di quanto sarebbero stati ancora disposti a pagare in termini politico-militari per allontanare la “mano protettiva” di Teheran dallo Yemen. Un prezzo comunque alto dato il rilievo attribuito a questa svolta nella più contorta guerra per procura ingaggiata con Teheran.

Sembrava che si fosse anche forzata la mano al Presidente Hadi per ricercare una soluzione win-win e non a somma zero; dunque una soluzione che includesse anche una risposta adeguata alle istanze socio-economiche e politiche dello Yemen del Nord che lo stesso Hadi non aveva tenuto a suo tempo in debito conto.

Ma tutto questo si è infranto prima di cominciare a causa per dell’uccisione di Saleh annunciata con grande enfasi dagli Houthi, con grandi manifestazioni di giubilo e il dispiegamento delle loro forze nella gran parte della città di Sanàa. Un colpo severo alle prospettive di pacificazione suscitate dagli sviluppi di questi ultimi giorni. Almeno nell’immediato, dato il potere effettivo e l’ascendente che Saleh esercitava nel paese. Ma solo nei prossimi giorni sarà possibile valutare l’effettiva portata dei contraccolpi della sua morte sia all’interno del perimetro di questo suo potere che era anche familiare e tribale sia in seno alla coalizione a guida saudita che adesso dovrà aggiornare e di parecchio la sua strategia.

Armando Sanguini


Armando Sanguini è stato Ambasciatore della Repubblica Italiana:

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Direttore generale relazioni culturali
Direttore generale Africa
Capo missione in Cile Tunisia e Arabia saudita

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