L’immigrazione, una questione umanitaria


Il Parlamento italiano ha approvato il decreto Minniti-Orlando sull’immigrazione. Il programma consta di varie iniziative volte al miglioramento della condizione degli emigrati in Italia, un corpo organico di misure che ha la finalità di fluidificare i processi burocratici che prevedono la risoluzione dei problemi inerenti la collocazione dell’”individuo” migrante, per contrastare l’immigrazione illegale e far maturare protezione internazionale.

In foto da sinistra: il ministro della Giustizia Andrea Orlando e il ministro dell’Interno Marco Minniti

 

Il decreto affronta il fenomeno partendo dall’origine, ovvero, dal diritto d’asilo. Si baserà su una facilitazione nei confronti dei meccanismi di collocazione del migrante, qualsiasi essa sia, in conseguenza dell’esigenza da parte del governo di accelerare il procedimento per l’esame dei ricorsi per le domande di asilo, che, nell’ultimo anno si sono accumulate creando subbuglio nei tribunali. Caso ultimissimo che rappresenta un esempio, è quello della mattanza attuata da parte delle forze dell’ordine nei confronti di “individui”, provenienti dalla Somalia, che avevano occupato un palazzo a Roma, in attesa dell’asilo politico. Il decreto è stato tacciato di incostituzionalità poiché prevede che venga abolito il secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo e la cancellazione dell’udienza. Inoltre, l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, definì questa procedura normalizzata dal decreto come un tipico procedimento da prendere solo in condizioni di urgenza. La condizione quotidiana che vive il Paese nei confronti del fenomeno migratorio risulta, però, assai drastica e l’urgenza per chi richiede asilo è impellente.

Analizzato velocemente l’aspetto giuridico-burocratico della questione dell’immigrazione, bisogna spostare l’attenzione sul fatto che il fenomeno è oggi permeato da una generale mentalità basata sul timore e sulla paura. Tale demone della paura, per dirla con Bauman, alberga nell’individuo privando di autenticità l’approccio psicologico nei confronti dell’altro, poiché diviene istantaneamente un approccio mediato da una generale e pervasiva xenofobia che abbraccia come un manto ogni formulazione di giudizio nei confronti di chi viene identificato come estraneo. In un’intervista che Fabio Gambaro, della Repubblica, fa al sociologo francese Alain Touraine, fuoriesce il caldo tema per cui la xenofobia è una reazione che rivela le contraddizioni di una società sempre più disgregata e incerta:

<< Attraverso la xenofobia si manifesta la paura di chi, al di là del passaporto, è diverso da noi fisicamente, ma anche sul piano della cultura, della religione o degli stili di vita. Le caratteristiche dell’altro, però, sono solo un pretesto per poter proiettare su di esso le nostre angosce>>. (1)

In foto: il sociologo francese Alain Touraine

La drasticità , l’urgenza, l’impellenza del problema migratorio risiede in questo fattore, rappresentato da una xenofobia generale che veicola le coscienze. L’analisi di Touraine è emblematica, poiché è esattamente questo il destino di un immigrato nel Paese verso dove migra. Tutto l’insieme di schemi concettuali su cui oggi verte il rapporto con l’altro fa perno sulla paura reale che si ha della minaccia che potrebbe portare il migrante. Cavalcando l’onda del terrorismo, con un fenomeno Isis che cosparge di stragi il territorio europeo, si è riusciti ad avere un consenso generale da parte delle masse nel guardare con ostilità l’”individuo” di razza, pelle e religione diversa, senza passare prima dal meccanismo della contestualizzazione. Questa concezione malsana del fenomeno, che impedisce in qualsiasi caso un’obiettiva analisi della questione, porta la società e tutto il sistema a pensare che l’unico male terroristico sia incarnato nel migrante. Se non si sovverte alle basi questa coscienza del problema, risulta difficile far sì che non vi si presentino comportamenti ispirati al razzismo etnico, nazionale e religioso. Su questa scia, che richiama certamente in auge alcuni sentimenti che si riaccomunano alle pratiche che prevedevano le cosiddette “pulizie etniche”, bisogna correggere il tiro e reintrodurre un’etica comportamentale differente nei confronti del migrante.

Un aspetto importante che è stato sollevato con l’approvazione del decreto è stato manifestato dalle critiche che le associazioni umanitarie gli hanno mosso per la questione del passaggio dal CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione) al CPR (Centro Permanente per il Rimpatrio). Questo passaggio è stato identificato dalle varie associazioni come un modo per privare nuovamente dei diritti umani quegli individui che giungono su quei barconi alle coste italiane. La questione che è stata posta verte sul problema per cui sia assolutamente errato correlare immigrazione e sicurezza, poiché, se vi è l’intenzione di preservare la Nazione dall’approdo di ipotetici terroristi, per mantenere il loro stato di permanenza, in attesa di un giudizio ai fini dell’espulsione dal Paese, vi sono le carceri.

Il decreto Minniti-Orlando ha ampliato invece il numero di questi centri, portandolo da quattro a venti per ogni regione, con una capienza delle strutture di cento persone e collocate vicino agli aeroporti. Il problema sollevato dalle associazioni sembra assumere i connotati di quella che Foucault definisce “microfisica del potere”(2). Questi centri permanenti per il rimpatrio, risultano essere dei centri di detenzione, come se fossero carceri, in cui chi ha l’ordine di selezionare e accertarsi dell’identificazione di chiunque si pari davanti agli occhi può anche assumere un comportamento diverso da ciò che prevede la normale procedura, tant’è vero che riguardo a tali strutture non mancano aneddoti che si rifacciano a casi estremi di inciviltà. Per tale motivazione Grazia Naletto di Lunaria asserisce che: ”il problema è l’idea alla base del decreto: la correlazione tra immigrazione e sicurezza … è un approccio che presta il fianco a una strumentalizzazione razzista e xenofoba dell’immigrazione…” In queste parole si condensa la profetica analisi di Touraine. I CPR non devono risultare dei luoghi in cui, tra morte dei diritti umani e microfisica del potere, l’uomo migrante diventa oggetto di qualsiasi illecito trattamento, perché non è l’etica adeguata e conforme per “risolvere” la questione immigrazione. Tali centri, rinominati in qualsivoglia maniera, danno inizio, in Italia, ad uno stato di detenzione amministrativa sotto forma di “aliby”, cioè di atto previsto da una legge. In questi, come vogliono far luce le associazioni umanitarie, si sintetizza la privazione di libertà e la privazione dei diritti personali dell’uomo, sottoponendo gli immigrati e i profughi a un trattamento lesivo per la loro incolumità, per una violazione di una disposizione amministrativa necessaria come il permesso di soggiorno. Davanti a uno scenario così drastico, tra l’altro, a corroborare il dramma, vi è anche la presenza al di fuori di queste strutture delle forze dell’ordine che hanno la possibilità di entrare all’interno solo in casi eccezionali su richiesta degli enti gestori, ma in realtà, a quanto pare, vi è una loro irruzione quotidiana e continua.

In termini pratici, tra l’altro, vi è da constatare se nell’effettivo, con l’espressione largamente diffusa nell’ambito politico e tra i politici, “…aiutiamoli a casa loro”, vi sia la reale intenzione di volgere questo aiuto nei confronti di tutta la gente, che tra Ciad e Niger, si ritrova a rivestire questa deplorevole situazione di migrante. Quando il ministro Minniti afferma che per bloccare i flussi migratori continui verso l’Italia, bisogna impedire quel flusso cercando di aiutare tutti coloro che si imbarcano, su navi o barconi, all’interno delle proprie coste, attraverso strutture italiane insediate nel loro territorio e impiegate a salvaguardare l’incolumità di quegli uomini. In realtà si sta parlando di un qualcosa che non si può gestire dettagliatamente e con la garanzia effettiva che si dimostra di fronte alle interviste. Quest’idea che si è andata diffondendo tra le varie intenzioni generali di una politica non soltanto italiana, ma su scala europea, che si basa sul promettere l’incolumità dei migranti aiutandoli sul loro territorio, in realtà, più che risolvere il problema dell’immigrazione, si propone di allontanarlo dalle coste italiane. Il problema dell’immigrazione, non è una questione che riguarda soltanto la massa di individui senza cittadinanza italiana che si viene ad aggiungere al popolo italiano, aspetto che genera l’intreccio più profondo tra xenofobia e nazionalismo, ma il problema bisogna analizzarlo, in principio, a partire da una questione umanitaria, che comporta il prendere coscienza del fatto che ci si rapporta con individui che fuggono da persecuzioni politiche e che fuggendo, per la maggior parte, vanno contro la morte. Significative sono state, a riguardo, le parole dell’ex ministro degli affari esteri italiano Emma Bonino, in cui si raffigurava il senso del dramma più violento, un dramma che la politica, con tutta la macchinazione che comporta nelle proprie viscere, non abbraccia mai totalmente. Un problema prioritario, che pone in secondo piano, il dramma di un viaggio che, tra buio e mare aperto, vede la salvezza come speranza e la morte come certezza. Le parole dell’ex ministro, rivolgendosi al decreto Minniti, sintetizzano una situazione effettiva che vede probabilmente meno flussi e sbarchi, ma molti più morti. Spingere l’uomo e la politica a pensare che l’immigrazione non è un fenomeno che si risolve pulendosi la coscienza di fronte a un microfono o a una massa che ascolta e batte le mani. L’immigrazione è una questione che tocca l’umanità tutta, non un qualcosa che va arginato con i manganelli e i getti d’acqua nelle piazza o con quelle strutture poste sulle coste africane che assumono più l’aria di campi di concentramento in cui la sorveglianza e la punizione sembrano l’unico atto lecito. L’affrontare in tal maniera un fenomeno globale e doloroso come questo comporta un passo indietro nella storia, un regresso umanitario e culturale a un tempo in cui il razzismo era all’ordine dei sistemi politici e sociali. Non ci troviamo più in un’epoca storica in cui la pelle determina il trattamento dell’individuo, bisogna che, in particolare in un territorio come l’Italia, reduce da una storia che ha macchiato la sua essenza mantenendola latente e nascosta da una parte ma viva e radiosa dall’altra, si spogli delle proprie colpe.

Dipanando tale analisi fin ora condotta, bisogna contestualizzare anche altri aspetti incresciosi del fenomeno. Chi migra in un Paese, venendo da un altro Paese dentro il quale è un perseguitato politico che rischia la vita, ma che allo stesso tempo nel Paese che lo accoglie non si dimostra incline ad adattarsi a tutte le logiche previste, diventa un clandestino e dunque un criminale. Qui subentra la questione per cui, molto spesso, vi siano clandestini che diventano capitale sociale per la criminalità organizzata. Questo è un aspetto del fenomeno migratorio che rappresenta realmente un cancro per il progresso della società. Tralasciando il fatto che molte questioni di cronaca, in cui i criminali sono immigrati, rappresentano motivazioni per la massa per alimentare senza argine un astio nei confronti del diverso e covare animi razzisti, bisogna che non vi siano, assolutamente, create le condizioni per generare questo fenomeno di clandestinità.

Le incertezze di una società, che si identificano con le paure normalizzate e pubblicizzate dai media e dagli schemi concettuali, si riassumono in tutte quelle tematiche che oggi rappresentano tabù, come xenofobia e razzismo (due facce della stessa medaglia), che vengono riposte in lontananza, ma che allo stesso tempo e in realtà rappresentano le colpe primarie che toccano ,fino alla quotidianità, l’individuo che si rapporta con il fenomeno in questione. Se si vuole veramente costruire una soluzione che rappresenta un freno per il problema, intanto bisogna costruire le fondamenta per un’intenzionalità che realmente verte su ciò che viene definito “melting pot”, cioè quella “società crogiuolo” che è capace di uniformare le diversità di lingua, razza e cultura. Agire dalle basi, nelle fondamenta del problema, per variare un approccio nei confronti del diverso oggi mediato da un odio intriso di sentimenti nazionalisti. Ciò impedisce, dal politico al cittadino, di costruire un pensiero comunitario positivo nei riguardi di chi si ritrova alle frontiere a invocare aiuto.

Si tratta di una questione umanitaria che non deve assolutamente ammettere razionalizzazioni banali e spicciole, come l’accogliere nelle proprie case chi viene a bussare alla propria porta. Bisogna capovolgere l’approccio nei confronti di quelle masse, non soltanto agendo da un punto di vista giuridico riguardo alla protezione internazionale dell’individuo singolo, ma agendo, prima di tutto, a livello umano facendo si che prima di tutto muti l’educazione al diverso da parte dell’italiano.

Quello stesso diverso in cerca di terra ferma.

Maurilio Ginex

 

Riferimenti bibliografici:

  1. Il demone della paura, Zygmunt Bauman, Editori Laterza, Aprile 2014, pag. 65.
  2. Bauman riporta l’intervista fatta a Touraine e il suo punto di vista riguardo allo straniero che diventa una minaccia.
  3. Microfisica del potere, Michel Foucault, Einaudi Editore, Torino, 1977.

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