Il commento dell’Ambasciatore Armando Sanguini sulla crisi nel Golfo:
L’isolamento del Qatar e la lotta per l’egemonia in Medio Oriente
Piccolo, anzi molto piccolo con i suoi 2 milioni e mezzo di abitanti su 11mila Km2 ; ricco, anzi, ricchissimo; pecora nera delle monarchie del Golfo da quando ha maturato la convinzione di poter combinare assieme il rigore wahabita (che condivide con l’Arabia saudita) con un sistema di alleanze o di convivenze al limite della disinvoltura e della conciliabilità in una regione in cui è obiettivamente difficile stare in molte scarpe, dall’Iran all’Arabia saudita, dalla Fratellanza musulmana all’Egitto del presidente Al Sisi, da Ghwell in Libia agli Emirati, etc.; di poter usare della sua influenza mediatica (Al Jazeera e non solo) per guadagnarsi un ruolo e un rango di cittadinanza planetaria, cominciando dall’Occidente, anche attraverso una narrazione sottilmente abrasiva nei riguardi delle consorelle monarchie del Golfo.
Attraverso le sue immaginifiche e brillanti iniziative turistiche e sportive si è costruito una credibilità internazionale che ha oscurato, di fatto, la criticità delle sue cattive compagnie, in particolare le sue politiche di sostegno del o comunque collusive/collaterali col, terrorismo. I suoi cospicui investimenti immobiliari e le sue partecipazioni finanziarie in prestigiosi assets industriali a livello internazionale hanno certamente coadiuvato la costruzione di questo suo profilo di rispettosità.
Già in passato la sua linea di condotta aveva portato ad una serie di frizioni tra il Qatar e le altre due principali monarchie del Golfo, Arabia saudita ed Emirati, culminate nella vera e propria frattura del 2014. E sempre per ragioni riconducibili ai suoi obliqui rapporti con forze di quell’islamismo considerato estremista se non addirittura terrorista e i suoi buoni rapporti con Teheran con cui il Qatar condivide lo sfruttamento di un massiccio giacimento di gas. Poi tale frattura era stata sanata poi in qualche modo, col tempo e soprattutto con un ritorno a Canossa più formale che sostanziale, da parte di quella Casa reale.
La diffidenza però è rimasta anche perché Doha non ha di fatto abbandonato la sua linea di condotta. E tale diffidenza è riesplosa adesso, in un momento in cui tale condotta, è stata considerata non più tollerabile. La rottura si è consumata all’indomani del vertice dei paesi arabi e islamici impegnati contro il terrorismo e la politica destabilizzante dell’Iran, offerta su un piatto d’argento al ritrovato alleato storico americano parimenti impegnato in quella direzione, come noto. All’indomani, quando cioè Doha ha attaccato duramente l’equazione tra terrorismo iraniano (sciita) e terrorismo sunnita sancito in quello stesso vertice di Riyadh di cui Doha era pur stato testimone attivo. E a nulla sono servite le difese più o meno credibili opposte da Doha.
Rottura delle relazioni diplomatiche da parte di Arabia saudita, degli Emirati, del minuscolo Bahrein e dell’Egitto, impegnato in una lotta senza quartiere con la Fratellanza musulmana; rottura accompagnata dall’adozione di una serie di misure aventi un solo obiettivo: l’isolamento del Qatar. Da quello terrestre – chiusura dell’unica frontiera con Riyadh – a quello aereo a quello marittimo e, ciò che più conta in prospettiva, a quello derivante dalle ripercussioni che questa rottura potrà provocare a livello internazionale. A danno del Qatar, naturalmente.
Ripercussioni politiche, certo, ma anche economiche e di prestigio: una fra tutte, a titolo esemplificativo, l’organizzazione dei Mondiali di calcio del 2022 i cui lavori sono già iniziati. Anche con la partecipazione italiana. Le reazioni immediate del mondo finanziario ed energetico ne sono un’anticipazione significativa. Si è scritto che con questa frattura è stata messa in crisi la coalizione araba e islamica contro il terrorismo. Penso che si tratti di un giudizio quanto meno affrettato se si tien conto anche solo del numero e del peso specifico dei paesi che la compongono rispetto al piccolo Qatar. E non è certo decisiva la neutralità interessata di Kuwait e dell’Oman, già al lavoro, del resto, per ricucire lo strappo.
Una ferita, questo sì, significativa soprattutto in seno all’ancora incompiuta coesione del Consiglio di cooperazione del Golfo, ma da non sopravvalutare nel suo impatto sui propositi della coalizione contro il terrorismo a guida saudita lanciata nel dicembre del 2015. Penso allo stesso tempo che in ogni caso la presa di posizione dell’Arabia saudita, dell’Egitto, degli Emirati e del Bahrein sia stata molto dura, forse troppo e spiegabile solo ipotizzando il loro comune convincimento che nelle dichiarazioni del Qatar vi sia stata la pesante mano di Teheran: intollerabile per loro in un momento in cui il mondo arabo e sunnita si sente di nuovo spalleggiato dalla grande potenza americana contro l’Iran prima ancora che contro il terrorismo.
Penso infatti che l’esasperazione che ne può derivare nella già forte polarizzazione in atto tra Teheran e Riyadh possa riservare effetti tanto più deleteri adesso che si profila, finalmente, la sconfitta militare dell’ISIS, la più visibile e spietata, ma certo non la sola organizzazione dell’estremismo e del terrorismo di matrice politico-settaria. Penso altresì che stante la situazione che si è venuta a creare, il Qatar non abbia molte alternative. Altri paesi arabi si stanno del resto allineando all’ostracismo di cui è stato fatto oggetto. E Teheran, il vero obiettivo di questa frattura, ben poco potrebbe fare, anche se lo volesse, per trarlo d’impaccio.
Armando Sanguini è stato Ambasciatore della Repubblica Italiana:
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Direttore generale relazioni culturali
Direttore generale Africa
Capo missione in Cile Tunisia e Arabia saudita