Diritto di vivere e di morire: Dj Fabo, la posizione dell’Italia e i viaggi verso la “morte dolce”



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Fabiano Antoniani (DJ Fabo)


Aveva compiuto quarant’anni lo scorso 9 Febbraio Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo, che ieri ha volontariamente posto fine alla sua vita in una clinica in Svizzera. Nella notte del 13 Giugno 2014, poco meno di tre anni fa, un gravissimo incidente automobilistico lo aveva reso tetraplegico e cieco, lasciandolo, come lui stesso ha affermato, in una “notte senza fine”. Pur essendosi sottoposto a diversi trattamenti e cure sperimentali, Antoniani non aveva riscontrato alcun miglioramento nel proprio stato di salute; da qui la decisione, qualche mese fa, di lanciare un appello alla classe dirigente italiana, in particolare al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, chiedendo un intervento delle istituzioni nella regolamentazione dell’eutanasia. Per farlo si è avvalso del supporto dell’associazione Luca Coscioni, associazione no profit per la libertà di ricerca scientifica che, insieme a Radicali Italiani,  ha sempre spinto per l’approvazione in Italia di una legge che legalizzi l’eutanasia al fine di garantire il rispetto del principio di autodeterminazione.

L’appello di Dj Fabo tuttavia non è stato accolto, e il giovane si è trovato costretto a ricorrere al suicidio assistito fuori dai confini del proprio paese, precisamente in Svizzera, nella clinica specializzata “Dignitas”.

La storia di Fabiano Antoniani è divenuta negli ultimi giorni un vero e proprio caso mediatico e ha scatenato un acceso dibattito politico su temi giuridicamente ma soprattutto eticamente complessi.

Al centro delle polemiche tre concetti, la cui definizione sfugge a molti, e che vengono spesso confusi tra loro e cioè eutanasia, suicidio assistito e testamento biologico.

L’eutanasia può essere definita come “l’azione di uccidere intenzionalmente una persona, effettuata da un medico, per mezzo della somministrazione di farmaci, assecondando la richiesta volontaria della persona stessa”[1]. Essa può essere attiva o passiva. La prima consiste in una somministrazione letale volta a porre fine in maniera indolore alla vita di un soggetto che ne ha fatto richiesta poiché ritiene di non poter condurre una vita dignitosa a causa della malattia o di aspirare alla guarigione; l’eutanasia passiva  consiste invece nella sospensione di cure senza le quali un soggetto non può rimanere in vita.

Diversa è la definizione di suicidio assistito, che è l’atto compiuto dallo stesso paziente per porre fine alla propria vita. Non vi sono interventi di persone esterne, se non di tipo logistico nella fase che precede l’azione vera e propria. Dal punto di vista del medico, infatti, esso non è altro che “l’azione di aiutare intenzionalmente una persona a suicidarsi, rendendo disponibili i farmaci per l’auto somministrazione, assecondando la richiesta volontaria e consapevole della persona stessa”. Nel caso del suicidio assistito, dunque, ancor più che nel caso dell’eutanasia, l’azione scaturisce anche materialmente dalla volontà del paziente, cui spetta non solo la decisione ma anche l’atto vero e proprio.

Sia l’eutanasia attiva che il suicidio assistito sono pratiche considerate illegali nel nostro paese, in virtù degli articoli 575 (omicidio), 579 (omicidio del consenziente), 580 (Istigazione o aiuto al suicidio) e 593 (omissione di soccorso) del Codice Penale.

Diverso è il caso di eutanasia passiva, che come detto sopra consiste nella sospensione volontaria delle cure mediche, e che resta, secondo l’ordinamento italiano, un diritto inviolabile della persona, come chiaramente affermato, peraltro, nell’art 32 della nostra Costituzione, che così recita:

“[…] Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”[2]

 Nel corso degli anni, in seguito a casi eclatanti come quelli di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro, sono state presentate diverse proposte di legge al fine di favorire una maggiore presa di coscienza riguardo a questi concetti, nonché di legalizzare l’eutanasia; tra queste una è stata depositata proprio dall’Associazione Luca Coscioni. L’iter però si è rivelato più lungo ed estenuante del previsto, fatto di continui rinvii e polemiche.

Diverso ancora è il caso del cosiddetto biotestamento, o testamento biologico che dir si voglia: “sottoscrivere un testamento biologico significa decidere, in un momento in cui si è ancora capaci di intendere e volere, quali trattamenti sanitari si intenderanno accettare o rifiutare nel momento in cui subentrerà un’incapacità mentale”[3].  Anche a proposito del testamento biologico in Italia si è parlato molto senza agire: è dal 2008, infatti, che si discute dell’introduzione di una legge a riguardo.

Al momento è al vaglio della Commissione degli affari sociali sulla legalizzazione dell’eutanasia il disegno di legge, con relatrice la deputata del Partito Democratico Donata Lenzi, intitolato “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”. A pochi giorni fa risale tuttavia il terzo rinvio che ha impedito la discussione in aula facendola slittare a Marzo. Se da un lato infatti la proposta di legge, frutto dell’unificazione di due proposte precedenti, presentate separatamente da Partito Democratico e Movimento Cinque Stelle, ha in qualche modo unito i due partiti, ha allo stesso tempo accentuato i dissidi con l’opposizione. Il dibattito su questi temi poi ha fatto riemergere la classica frattura tra politici cattolici e laici, i primi strenui difensori della salvaguardia della vita umana e i secondi che nel concetto di salvaguardia fanno rientrare il diritto di scelta e autodeterminazione del soggetto interessato. La frattura quindi, da frattura tra opposizioni, diviene anche frattura interna ai partiti.

É in tal senso che si dice, come più volte è stato detto in questi giorni, che il caso di Dj Fabo è divenuto un caso politico. Malgrado fin troppo sottile si riveli a volte il confine tra caso politico e caso politicamente strumentalizzato, una storia come quella portata in questi giorni all’attenzione dell’opinione pubblica può favorire una maggiore presa di coscienza su temi tanto importanti e delicati. Se è vero d’altra parte che è politico ciò che riguarda la vita dei cittadini, e che, essendo l’Italia una Repubblica democratica, i cittadini hanno voce in capitolo nelle questioni politiche, non è allora offensivo parlare di caso politico, come invece lo è non ragionare sugli spunti che le storie dei cittadini offrono alla classe dirigente.

Questa idea, seppur ancora scarsamente interiorizzata dalle autorità italiane, sembra però aver trovato terreno fertile in diversi altri paesi. A livello internazionale infatti l’eutanasia e il suicidio assistito sono tutt’altro che un tabù: ne è un esempio la Svizzera, meta scelta da molti italiani per la loro “dolce morte”. I costi del suicidio medicalmente assistito qui sono altissimi e si aggirano intorno ai 10.000 euro, una somma che davvero in pochi possono permettersi. Esistono poi alcune condizioni da rispettare, ovvero la redazione di un testamento biologico, la dimostrazione medica di essere affetti da una malattia incurabile, il vaglio da parte di un’apposita commissione del caso medico e una procedura che prevede che il medico tenti di dissuadere il paziente per assicurarsi che la decisione sia pienamente cosciente. I dati riguardo il numero di italiani che hanno intrapreso il loro ultimo viaggio verso la Svizzera non è facilmente calcolabile in quanto non tutti sono disposti a divulgare informazioni su una pratica che in Italia resta un reato; ma si calcola che approssimativamente solo nell’ultimo anno siano 45 le persone ad aver fatto questa scelta.

Marco Cappato

Marco Cappato, dei Radicali

Oltre alla Svizzera anche altri paesi hanno legalizzato l’eutanasia attiva e il suicidio assistito, tra i quali Belgio, dove è consentita l’eutanasia anche per i minori, Lussemburgo, Olanda, primo paese europeo ad aver consentito eutanasia e suicidio assistito, Giappone, Cina, Colombia e alcuni stati degli Stati Uniti.

Tutti i cittadini italiani che sono stati e sono costretti a recarsi all’estero per decidere della propria vita, con il supporto di numerose organizzazioni e associazioni, premono ora affinchè l’Italia si allinei con questi paesi. Un gesto forte è arrivato oggi da Marco Cappato, il membro dell’Associazione Coscioni che ha accompagnato Dj Fabo in Svizzera, che ha deciso di autodenunciarsi alle autorità milanesi per l’aiuto al suicidio del giovane, invitando lo Stato a “assumersi le proprie responsabilità”.

Alessia Girgenti

[1]L.J. Matervedt, D.Clark, J. Ellershaw,R. Forde, A.B. Gravgaard,H. C. Muller-Busch, J Porta I Sales, C.H. Rapin-“Eutanasia e suicidio assistito dal medico: il punto di vista di una Task Force sull’etica dell’EAPC”, RiCP vol.6 N°1/2004

[2] Costituzione Italiana

[3] https://www.associazionelucacoscioni.it

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