Strage di Orlando, quali implicazioni?


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I Fatti
Sono all’incirca le 2 del mattino ad Orlando, in Florida, e nel locale gay Pulse, uno dei più conosciuti e frequentati della città, è in corso l’“Upscale Latin Saturday”, una delle tante serate a tema organizzate dalla discoteca. Il locale è gremito: secondo stime attendibili sono presenti più di 300 persone, che ballano e scherzano come in una normale serata fuori con gli amici. Poi gli spari, dapprima scambiati per effetti musicali, diffondono il panico tra i presenti: molti tentano di fuggire, nascondendosi nei bagni o nei camerini, o persino sotto ai corpi senza vita, i corpi di quelli che a fuggire non sono riusciti. Una decina di minuti dopo l’inizio della sparatoria i gestori pubblicano un post nella pagina Facebook del locale, “Everyone get out of Pulse and keep running”; a questo si aggiungono centinaia di altri post sui social network, testimonianze o disperate richieste d’aiuto. Per molti infatti i momenti di terrore non sono ancora finiti: l’attentatore, dopo aver sparato sulla folla, si barrica nella discoteca con trenta persone. Solo alle 5 del mattino, dopo una lunga negoziazione, le autorità intervengono, facendo irruzione nel Pulse, e innescando una sparatoria con l’assalitore, che ne resta vittima. Il bilancio dell’attentato è allarmante: 50 persone morte, presto identificate, e 53 ferite. Si parla della più grave strage da arma da fuoco nella storia degli Stati Uniti. L’attentato è stato poi rivendicato dallo Stato Islamico: la conferma ufficiale è giunta dapprima tramite Amaq, agenzia di stampa dello Stato Islamico, e in seguito dalla radio al Bayan, anche se nel corso delle negoziazioni con le autorità il primo riferimento era giunto proprio tramite la viva voce dell’attentatore. Quest’ultimo è stato identificato dalle autorità come Omar Mateen, 29 anni, di origini afgane ma nato e cresciuto negli Stati Uniti. Seppur privo di precedenti penali, Mateen era riconosciuto da colleghi e conoscenti come un soggetto instabile, incline ai commenti razzisti e omofobi, nonché alla violenza. Tale dato è stato confermato dall’ex moglie che, nel corso di un’intervista, ha affermato di essere stata più volte vittima di violenze fisiche da parte del marito, tanto da chiedere la separazione e in seguito il divorzio poco tempo dopo la loro unione.
Modus operandi
Proprio in virtù dell’instabilità emotiva del soggetto, le autorità hanno ipotizzato in un primo momento che Mateen abbia agito di sua spontanea volontà, come “lupo solitario”. L’espressione è stata dai più criticata e confutata, eppure nella sua ambiguità potrebbe essere proprio l’espressione giusta da utilizzare: si dice che il lupo solitario agisca in autonomia, senza essere parte di un’organizzazione che impartisce ordini precisi o pianifica le operazioni logistiche dell’attacco; eppure siamo di fronte ad una contraddizione in termini. Non dimentichiamo che il lupo è infatti un animale che vive in branco, che nulla è senza il branco. Allora delle due, l’una, l’ipotesi più plausibile, è che il branco esista, ma che i suoi metodi di indottrinamento semplicemente confliggano con quelli che l’Occidente conosce o ai quali è avvezzo a ricorrere. Lo Stato Islamico riporta infatti alla luce una forma di volontarismo individuale che si tende a sottovalutare, ma che ne determina il successo dal punto di vista dottrinale e politico; tanto più successo ha questa strategia quando al volontarismo individuale si accompagna il populismo, una forma di populismo informatizzata, che raggiunge tutti i potenziali adepti, e con cui lo Stato Islamico si rivolge direttamente al suo popolo. Benché difficile da definire e identificare, forse lo Stato Islamico è molto più vicino alla definizione classica di Stato di quanto si possa pensare: la conquista del territorio, il tentativo di dare corpo a un popolo, l’imposizione di una sovranità gerarchizzata sono gli elementi dell’allarmante evoluzione della sua struttura e organizzazione. La totale inadeguatezza della risposta dell’Occidente a questa nuova forma di potere politico, già emersa in occasione dei precedenti attacchi terroristici che hanno colpito il cuore dell’Europa, emerge anche dalla triste vicenda di Orlando. Gli scettici e i critici sottolineano che, quando ci si riferisce all’attentatore, più che di “lone wolf”, bisognerebbe parlare di “known wolf”: Mateen infatti era già stato oggetto di indagini tra il 2013 e il 2014, dapprima per aver pronunciato gravi frasi razziste sul proprio posto di lavoro, e in seguito per un suo presunto legame con l’attentatore suicida Moner Mohammad Abu Salha. In entrambi i casi però l’FBI non prese alcun provvedimento, chiudendo le indagini per l’inconsistenza delle prove fino a quel momento raccolte.
Omofobia tra Islam e Occidente
A negare un possibile legame di Mateen con lo Stato Islamico sarebbe proprio il padre dell’attentatore, Seddique Mateen, che, all’indomani della strage, nega ogni possibile movente di tipo religioso. L’affermazione che ha più scosso l’opinione pubblica si collega tuttavia all’omosessualità delle vittime della strage: secondo Seddique infatti il figlio sarebbe rimasto negativamente impressionato di fronte a due uomini che si scambiavano pubbliche effusioni a Miami, tempo prima; “Solo Dio può punire i gay e l’omosessualità, questo non spetta ai servi di Allah”, aggiunge poi nel video in cui prende le distanze dal gesto del figlio. Il tema del rapporto tra religione islamica e omosessualità, sempre latente, riemerge con preponderanza all’indomani della strage e necessita di alcune chiarificazioni. È innanzitutto necessario specificare che il concetto di omosessualità come identità sessuale nasce nei paesi arabo-islamici in tempi estremamente recenti, in particolare a inizio secolo, parallelamente alle prime rivendicazioni avanzate a livello internazionale; solo in seguito le comunità più tradizionaliste inaugurano un discorso di condanna nei confronti dell’omosessualità. Se guardato dal punto di vista giuridico, il discorso sull’omosessualità si fa più complesso: sanzioni varie, anche di carattere penale e che contemplano punizioni corporali e violenze fisiche di vario genere, sono infatti previste nel diritto islamico nei confronti della sodomia (liwat); non figura alcun riferimento infatti all’omosessualità intesa da un punto di vista identitario. Il diritto islamico è irrimediabilmente legato ad una visione medicalizzata del crimine, per cui l’atto criminoso viene assimilato a una malattia vera e propria, da cui è necessario guarire per poter ottenere il perdono divino. Se da un lato si tende a dare per scontato che questo atteggiamento di condanna sia frutto solo del retaggio religioso dell’Islam radicale, non è tuttavia scontato che l’Occidente sia stato, o sia ancora, estraneo a simili forme di stigmatizzazione: non è infatti da sottovalutare, quando si parla di condanna dell’omosessualità, l’influenza della legislazione coloniale cui questi paesi sono stati sottoposti in passato, in primis quella britannica. Per quanto riguarda invece l’Occidente contemporaneo, benché l’omosessualità non venga formalmente criminalizzata, sopravvive il vergognoso pregiudizio nei confronti dell’altro, di chi non si conforma in tutto e per tutto al modello eterosessuale, che nel corso della storia abbiamo reso dominante. Ultimo fattore, anche se non per importanza, che caratterizza il rapporto tra Islam e omosessualità è la cosiddetta “Teoria dell’importazione”, ovvero la tendenza ad allontanare da sé il fenomeno, ad esotizzarlo per renderlo estraneo: l’omosessualità diviene quindi prodotto dell’Occidente e di Israele, che hanno esportato e diffuso il fenomeno anche nei paesi arabo-islamici, loro malgrado. Eppure all’attentato sono seguite anche numerose dichiarazioni di solidarietà da parte dei fedeli moderati, e tutte le comunità Lgbt sparse per il mondo hanno manifestato la loro piena vicinanza alle vittime, esprimendo cordoglio e rendendo ancora una volta nota la richiesta di rispetto dei propri diritti. “Ieri è stato un giorno straziante, specialmente per tutti i nostri amici e concittadini gay, lesbiche, transgender e bisessuali”, ha affermato il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama all’indomani della strage, nel corso del discorso ufficiale tenuto di fronte alla stampa.
La detenzione di armi da fuoco negli Stati Uniti
“Questo massacro- ha continuato Obama- è un’ulteriore prova di quanto sia facile mettere le mani su un’arma che permette di compiere stragi nelle scuole, nei cinema, nelle Chiese e nei locali”, facendo riferimento all’argomento più discusso degli ultimi anni, ovvero il commercio e la detenzione legalizzati di armi negli Stati Uniti. Proprio negli Stati Uniti infatti, che pure ospitano solo il 4% della popolazione mondiale, si concentra il 50% dei civili che possiedono un’arma. Eppure non può essere ignorato il Secondo emendamento alla Costituzione Americana, secondo cui “essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una milizia regolamentata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà mai essere infranto”, né si può non tenere conto della pronuncia della Corte Suprema che, nel 2008, ha sancito ancora una volta l’inviolabilità del diritto dei privati cittadini a detenere armi da fuoco. Benchè pertanto i dati relativi a omicidi di massa e più in generale a omicidi da arma da fuoco siano estremamente sconfortanti, non sembrano esserci i presupposti per un’inversione di rotta a breve termine, tanto più che dei candidati alla Presidenza degli Stati Uniti la sola Hillary Clinton ha assunto una posizione decisa rispetto all’imposizione del divieto di detenzione di armi da fuoco per i privati cittadini.
Quali conseguenze sulle campagne elettorali?
Quello della detenzione di armi da fuoco non è tuttavia l’unico argomento di discussione che, in seguito alla strage di Orlando, ha spinto i principali protagonisti della politica statunitense a rilasciare dichiarazioni ufficiali. Mentre la Clinton ha riconfermato i toni moderati che hanno caratterizzato la sua campagna elettorale fino a questo momento, lo stesso non può dirsi per il candidato repubblicano Donald Trump, che con un post pubblicato sul suo profilo twitter si è rivolto direttamente ai propri sostenitori. “Vi ringrazio per le congratulazioni per aver avuto ragione sul terrorismo dell’Islam radicale, non voglio congratulazioni, ma durezza e vigilanza”. Il post si inscrive perfettamente nelle affermazioni precedenti di Trump su temi caldi quali terrorismo e immigrazione. Quest’ultima, in particolare, secondo il candidato, dovrebbe essere scoraggiata e ai musulmani dovrebbe essere interdetto l’ingresso nel paese proprio al fine di tutelare quest’ultimo da attacchi terroristici di matrice islamista. Trump ha contestualmente criticato l’atteggiamento di Obama, invitandolo addirittura a rassegnare le dimissioni e accusandolo di aver volutamente tralasciato di sottolineare la matrice islamica radicale dell’attentato. Il Presidente ha infatti definito l’attentato come frutto di homegrown extremism, aggiungendo che non esistono prove certe e inconfutabili di un legame diretto tra l’attentatore e lo Stato Islamico. La strage di Orlando e il panico che ne deriva stanno dunque facendo emergere, con ancor maggiore prepotenza, le idee e le posizioni dei candidati alla Casa Bianca, e potrebbero in qualche modo stravolgere i delicati equilibri venutisi a creare negli ultimi giorni. A seconda delle reazioni dei cittadini americani potremmo infatti riscontrare le conseguenze dell’attentato nei prossimi sondaggi. Un evento come quello avvenuto ad Orlando si presta a innumerevoli riflessioni, molte delle quali, come si è visto, investono ambiti di vario genere, dal politico al sociale. Al di là di ogni riflessione o analisi, ciò su cui bisogna riflettere e che non si può dimenticare è il sacrificio di tante vite, immolate sull’altare del potere. Non è forse questa la beffa più grande? Sapere che il nemico esiste, ma non sapere dove e quando colpirà ancora? Finché non avremo imparato a conoscere e comprendere il terrorismo e chi lo mette in atto, non potremo che piangere sui corpi senza vita di vittime scelte dal destino.

Alessia Girgenti

BIBLIOGRAFIA
· P.J. Salazar, “Parole armate. Quello che l’Isis dice e che noi non capiamo”
· S. Tolino, “Atti omosessuali e omosessualità fra diritto islamico e diritto positivo”

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