“Vi dichiaro marito e…”: breve riflessione sulla disciplina delle c.d. unioni civili


LA PAROLA ALL’ESPERTO

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“Vi dichiaro marito e…”: breve riflessione sulla disciplina delle c.d. unioni civili

 a cura di Rosario Fiore Cultore di diritto pubblico comparato Unipa e 

Segretario generale I.Me.Si



Il tema dei matrimoni omosessuali è ritornato, prepotentemente, alla ribalta della cronaca politica attuale, considerato che a giorni approderà al Senato il disegno di legge Cirinnà, presentato per la maggioranza dalla senatrice dem Monica Cirinnà, un passato ventennale da consigliera comunale di Roma, da sempre impegnata sui temi dei diritti civili e della tutela degli animali. Occorre chiarire, immediatamente, che le “unioni civili”, previste nel testo Cirinnà, tra persone appartenenti allo stesso sesso, non sono equiparabili al matrimonio: un uomo e un uomo, ovvero una donna ed una donna non possono contrarre matrimonio, ma possono “unirsi civilmente” e ricevere una tutela ed avere diritti sostanzialmente analoghi al matrimonio. 
In altri termini, con un sofisma giuridico che cela non poca ipocrisia, viene negato il matrimonio a gay e lesbiche, ma allo stesso tempo gli si garantiscono i medesimi diritti nascenti dal matrimonio, che rimane un istituto “cristianamente” eterosessuale. Per capire tale sofisma giuridico, bisogna tornare indietro e partire dalla tanto discussa sentenza n. 138 della Corte Costituzionale nell’anno del Signore 2010. In questa sentenza, la Corte Costituzionale, che venne investita dal Tribunale di Venezia e dalla Corte d’ Appello di Trento di verificare la legittimità costituzionale degli articoli del codice civile relativi al matrimonio in relazione agli articoli 2, 3 e 29 della Costituzione, stabili sostanzialmente che:
1. Non vi è violazione dell’articolo 3, poiché situazioni differenti vanno disciplinate in maniera differente;
2. Non vi è violazione dell’ art. 29, poiché il matrimonio è un istituto eterosessuale, cioè tra un uomo ed una donna: in particolare, la Corte, nel dovere affermare l’eterosessualità del matrimonio, procede ad una interpretazione dell’ articolo 29 richiamando lavori preparatori del costituente, che non prese in considerazione gli omosessuali, ma che invece fece riferimento al codice civile del 42, che fa espresso richiamo al matrimonio uomo/donna;
3. Al più, le coppie omosessuali possono trovare copertura e tutela nell’articolo 2, che disciplina le formazioni sociali, secondo modalità che competono alla discrezionalità del legislatore, anche alla luce degli articoli 12 CEDU e 9 Carta di Nizza.
In buona sostanza, la Corte Costituzionale non ebbe il coraggio di interpretare in senso evolutivo l’articolo 29 della Costituzione, considerato che la società contemporanea non è più quella del 46 ma che vi è stata una evoluzione dei costumi, delle relazioni sociali e affettive; in altri termini, come dice il mio amico Matteo Winkler, docente di diritto internazionale all’ Hec di Parigi, l’articolo 29 è stato interpretato come se fossimo rimasti ai tempi del Codice di Hammurabi, risalente al II millennio a.c.
In tal modo, la Corte Costituzionale, utilizzando il criterio ermeneutico dell’intenzione dei costituenti, e quindi senza ricorrere ad una giustificazione metafisica o di diritto naturale al postulato della famiglia basato su due soggetti di sesso opposto, impedisce ai giudici comuni di procedere ad una successiva interpretazione che superi il concetto eterosessuale del matrimonio, essendo questa una non permessa interpretazione creativa.
Ribadito, dunque, il carattere eterosessuale del matrimonio (la Corte Costituzionale lo farà nuovamente nel 2014 con la sentenza n. 170), tuttavia la Corte ha ritenuto che il legislatore potesse tutelare le coppie omosessuali, con una disciplina rimessa alla sua discrezionalità, fissandone il fondamento giuridico nell’articolo 2 della Costituzione, atteso che per formazione sociale deve intendersi ogni comunità, semplice o composta, idonea a consentire e favorire il pieno sviluppo della persona nella vita di relazione. La Corte Costituzionale, quindi, individuò nell’articolo 2 un tenue quanto debole contrappeso all’articolo 29: la famiglia costituzionalmente tutelata è formata da un uomo e da una donna e l’articolo 29 non si presta a differenti interpretazioni; tuttavia, nulla vieta al legislatore di individuare forme di disciplina che, collocandosi nel solco dell’articolo 2 della Costituzione, diano tutela alle copie omosessuali.
In questo solco costituzionale, oggi si colloca appunto la disciplina prevista nel famoso disegno di legge Cirinnà all’esame del Parlamento, con cui si darà una disciplina giuridica alle coppie omosessuali ed anche a quelle more uxorio, riconoscendo diritti reali simili a quelli di cui godono le coppie eterosessuali sposate attraverso l’istituto del matrimonio. Resta da capire nella sostanza cosa cambia tra le unioni civili ed il matrimonio: nulla, se non quello di avere salvato l’ipocrita apparenza di riservare il matrimonio agli eterosessuali.

Per una analisi più approfondita e scientifica dell’argomento consiglio la lettura di: 
A. Pugiotto, Una lettura non reticente della sent. n. 138/2010: il monopolio eterosessuale del matrimonio, in Scritti in onore di Franco Modugno, III, Napoli, 2011, 2697 ss; A. Ruggeri, Famiglie di omosessuali e famiglie di transessuali: quali prospettive dopo Corte cost. n. 138 del 2010? in Riv. Telem. Giur. Associazione Italiana Costituzionalisti,n. 4/2011; L. D’Angelo, La Consulta al legislatore: questo matrimonio «nun s’ha da fare», in www.forumcostituzionale. it, 2010; P.A. Capotosti, Matrimonio tra persone dello stesso sesso: infondatezza versus l’inammissibilità nella sentenza n. 138 del 2010, in Quad. cost., 2010, 361 ss, R. Romboli, La sentenza 138/2010 della Corte Costituzionale sul matrimonio tra omosessuali e le sue interpretazioni, in www.rivistaaic.it .

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