Diritti civili e movimenti sociali: breve analisi del contesto statunitense


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Diritti civili e movimenti sociali: breve analisi del contesto statunitense

“Proteggere
e servire”. In molti tra gli americani hanno perso del
tutto la fiducia nei confronti di questo motto e dell’istituzione che
rappresenta. Al termine del 2015 uno dei dati che più sconvolge l’opinione
pubblica è il numero delle vittime provocate direttamente dalla polizia
americana durante gli inseguimenti e gli arresti: secondo il database del
Washington Post1 sono state uccise 977 persone, di cui 91 erano
disarmate e 32 munite di armi giocattolo.  In questa sede l’interesse non è indagare il
fondamento giuridico che determina i casi in cui gli agenti americani abbiano o
ritengano di avere il diritto di ricorrere alle armi da fuoco (tra l’altro la
legislazione in merito è piuttosto superficiale e lasciata più
all’interpretazione soggettiva). Tutt’al più si è preferito analizzare, seppur
brevemente, come mai in America, anzi, negli Stati Uniti sia possibile che un
poliziotto si trasformi in giudice, giuria e boia tutti insieme (decisamente
con scarsa capacità discriminatoria) evitando le lungaggini di un processo equo
e giusto. Come mai, cioè, nella “patria delle libertà moderna” sia così
semplice calpestare i diritti civili. 
Tutto ciò è innanzitutto sicuramente
possibile perché negli ultimi 50 anni è mancata una forte presa di posizione affinché
ciò non accadesse, il riferimento non è al ruolo della politica statunitense,
ma alla mobilitazione civile e alla militanza sociale quasi assente e sempre
discontinua nelle sue forme e manifestazioni negli U.S.A. Il cittadino medio si
è assopito e addormentato, soddisfatto di far parte della nazione più
importante e potente del mondo, distratto dalla pubblicità e dai beni di
consumo, con il sogno americano ancora nel cassetto. Le ultime grandi
mobilitazioni sociali si ravvedono negli Stati Uniti, ma anche in Europa, nella
prima metà del XX secolo, dove grossi traguardi nel campo dei diritti civili
sono stati effettivamente raggiunti. Da quel momento per mantenere la stabilità
ed evitare altre crisi sociali interne, una delle strategie adottate da chi ha
esercitato il potere (e ancora una volta il riferimento non è solo alla
politica tradizionale) è stata quella di creare, attraverso tecniche propagandistiche,
una società di consumatori che ritrovasse la propria identità nei beni
materiali. «Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà
prevale nella civiltà industriale avanzata» questa è la frase con cui Marcuse
apre il suo “Uomo a una dimensione”,
ed è anche la frase con cui viene sintetizzata la sua critica alla società
americana degli anni ’60, in cui l’uomo si accontenta di una felicità “minore”
(quella materiale) perché comoda e sicura, regalata dall’alto da qualcuno che
lo vuole controllare, nascondendo dietro l’agio quelle che sono le “vere”
necessità dell’uomo2. La critica di Marcuse è molto forte, in quanto
alla fine del suo ragionamento afferma che «la democrazia apparirebbe come il
più efficiente sistema di dominazione», ma sicuramente oggi non si può negare
che molti degli obiettivi nella vita di un cittadino medio “occidentale” si
realizzino con l’acquisto di beni di consumo. Con quanto appena affermato non
si vuole certo presumere che tutto taccia negli Stai Uniti e che l’intera
popolazione resti a guardare poco interessata a ciò che le succede. Proprio a
seguito dei frequentissimi abusi della polizia negli scorsi mesi abbiamo
assistito a diverse manifestazioni sostenute in ogni città da una grandissima
folla chiedendo giustizia. L’abuso di potere delle forze dell’ordine non è
neanche l’unico tema che muove le coscienze negli States: un altro movimento
che ha dimostrato grande impegno negli ultimi anni è quello di Occupy Wall
Street che contesta in maniera pacifica i soprusi del capitalismo finanziario.
Partito da New York nel 2011, il movimento si è diffuso in tantissime città
americane e di tutto il mondo.
Il
reale problema però risiede nel mancato appoggio e coinvolgimento della fetta
più grossa della popolazione statunitense, quella dei lavoratori. Da indagare
in questo caso il ruolo dei sindacati che dagli anni ’30 a oggi hanno perso
tantissima influenza nell’indirizzare le politiche e l’opinione pubblica dato
anche che nell’arco di questi settant’anni la percentuale dei lavoratori
iscritti a un sindacato è scesa dal 35% a solo il 7%3. Queste derive
sono dovute ad alcune caratteristiche della politica e della società americana.
Primo
fra tutti il potere detenuto da grossissimi centri d’interessi privati, che
dominano l’economia non solo nazionale e influenzano in maniera decisiva le
scelte politiche, questi hanno sempre avuto nei sindacati un “ostacolo” da
limitare e minimizzare per poter ottenere la massimizzazione del proprio
profitto. Di fatti, grazie anche alle pressioni dei grossi industriali e dei
privati, lo Stato ha imposto nel tempo una serie di restrizioni che rendono
molto difficile iscriversi a un sindacato (la legge Taft-Harley nel dopoguerra,
ad esempio). In più va tenuto conto anche del comportamento degli stessi
sindacati, che quando hanno combattuto delle battaglie lo hanno fatto spesso
per loro stessi, denotando un atteggiamento votato sempre più al consociativismo4
(le assicurazioni sanitarie negli Stati Uniti sono un lampante esempio di
questo atteggiamento, essendo queste garantite per determinati compartimenti
professionali). A tutto ciò va in fine aggiunto un particolare che ha
caratterizzato la politica americana da più di mezzo secolo, che è riuscito a
infiltrarsi pure nella cultura maggioritaria del paese: la lotta al pensiero
socialista.
Fin
da prima degli anni ’50 in America è iniziata quella che da molti è stata
definita come una caccia alle streghe contro coloro i quali venivano
considerati “dissidenti”, giustificata dalla paura di una possibile rivoluzione
interna in stile cinese, dal consolidarsi dell’egemonia dell’Unione Sovietica e
dalla presunta presenza nel paese di spie comuniste. Questo periodo conosciuto
da tutti come maccartismo ufficialmente
ebbe breve durata, infatti si considera concluso quando una commissione del
congresso approvò nel 1954 una mozione di censura contro Joseph McCarthy. In
realtà il sospetto rimase vivo per molti decenni durante la Guerra Fredda e
quella che prima era diffidenza è diventata indifferenza per quelli che
sostenevano opinioni controcorrente, spesso screditati e quasi inascoltati, a
volte addirittura tacciati di essere anti-americani. Questo processo ha reso
inevitabilmente molto difficile il consolidarsi di forti centri d’opinione
“alternativi” in grado di porsi come opposizione a quelli maggioritari
generando in molti tra i cittadini U.S.A. una certa passività rispetto allo
stato delle cose.
Simone
Cacioppo

Note:
1. https://www.washingtonpost.com/graphics/national/police-shootings/
2. Michael Walzer, L’intellettuale
Militante
3. S.Greenhouse, Union
Membership in U.S.Fell to 70-Year Low Last Year
4.
Noam Chomsky, Sistemi di potere

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